Israele è una delle maggiori potenze militari del mondo: con una spesa di oltre 23 miliardi di dollari all’anno (circa il 5 percento del proprio Pil) nel 2022 ricopriva la 15esima posizione mondiale. Il principale fornitore di sistemi militari sono gli Usa, ma i paesi Ue sono al secondo posto.
I rapporti ufficiali europei certificano che dal 2001 al 2020 i paesi dell’Unione hanno autorizzato esportazioni di sistemi militari per oltre 7,7 miliardi di euro, oltre 636 milioni nel 2020. Tra gli armamenti esportati figurano soprattutto navi da guerra (1,6 miliardi), aerei da combattimento (1,2 miliardi), carri armati e veicoli terrestri (1 miliardo) e apparecchiature elettroniche (oltre 520 milioni di euro). Sempre dal 2001 al 2020 i maggiori fornitori europei di armamenti a Israele sono stati la Germania (3 miliardi di euro), la Francia (2,6 miliardi), il Regno Unito (653 milioni) e l’Italia (578 milioni).
FINO AL 2012 l’Italia, pur avendo rapporti commerciali con Israele, ha mantenuto un atteggiamento estremamente cauto e restrittivo nelle forniture di sistemi militari a Tel Aviv: le Relazioni ufficiali al Parlamento riportano tra il 1990 e il 2011 un ammontare complessivo di solo poco più di 11 milioni di euro. Tutto cambia con il governo Berlusconi che nel giugno del 2003 sigla a Parigi il “Memorandum d’intesa con Israele in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa”: memorandum entrato in vigore l’8 giugno 2005 che prevede, tra l’altro, l’interscambio di materiali d’armamento tra i due Paesi. Il “salto di qualità” avviene però nell’aprile del 2012 quando l’allora presidente del Consiglio, Mario Monti, in visita in Israele annunciò il completamento del contratto per la fornitura all’Aeronautica militare israeliana di 30 velivoli d’addestramento M-346 della Alenia-Aermacchi e relativi simulatori di volo. Sono gli aerei e i simulatori su cui si sono esercitati i piloti dei caccia F-16 e F-35 che in questi giorni stanno bombardando Gaza.
Negli anni successivi le forniture di sistemi militari dall’Italia a Israele non hanno segnato valori rilevanti fino al febbraio 2019, quando i è stato firmato l’accordo per l’acquisto di sette elicotteri AW119Kx d’addestramento avanzato della Agusta-Westland (gruppo Leonardo) del valore di 350 milioni di dollari. Nel 2020 ne sono stati aggiunti altri cinque per un totale di dodici elicotteri e due simulatori destinati alla Air Force Flight School.
NON SOLO. Come riporta il Bilancio d’esercizio della Rwm Italia, l’anno scorso l’azienda ha firmato un «accordo strategico» con la società israeliana UVision Air Ldt «per la commercializzazione, produzione e sviluppo in esclusiva per l’Europa delle Loitering Munition». Si tratta di munizioni circuitanti, meglio conosciute come “droni kamikaze”.
LE NORMATIVE parlano chiaro ed è bene citarle in modo preciso. Per quanto riguarda l’Italia, la normativa nazionale – la legge n. 185 del 1990 “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” – vieta esplicitamente l’esportazione di materiale di armamento «verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione» (Art. 1.6 b) e «verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’Ue o del Consiglio d’Europa» (Art, 1.6 d).
A livello europeo, la “Posizione Comune 2008/944/Pesc del Consiglio” dell’8 dicembre 2008 che ha definito “Norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari” stabilisce che gli stati membri «rifiutano le licenze di esportazione qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possono essere utilizzate per commettere gravi violazioni del diritto umanitario internazionale» (Art. 2.2 c). E, in aggiunta, la Decisione (Pesc) 2019/1560 del Consiglio del 16 settembre 2019 prevede che «Qualora emergano nuove informazioni pertinenti, ciascuno Stato membro è incoraggiato a riesaminare le licenze d’esportazione dopo la loro concessione».
Ancor più esplicito è il “Trattato internazionale sul commercio di armi” (Arms Trade Treaty), ratificato dall’Italia nel 2014 dopo il voto unanime di Camera e Senato: stabilisce non solo il divieto ad esportare materiali militari a paesi sottoposti a misure di embargo internazionale (Art. 6) ma prevede anche di valutare se le armi convenzionali o gli oggetti militari «possono contribuire a minacciare la pace e la sicurezza; possono essere utilizzati per commettere o agevolare una grave violazione del diritto internazionale umanitario e commettere o agevolare una grave violazione del diritto internazionale dei diritti umani». «Se, dopo aver condotto tale valutazione lo Stato Parte esportatore ritiene che vi sia un forte rischio di ricadere in una delle conseguenze negative previste, lo Stato Parte esportatore non autorizzerà l’esportazione», conclude il Trattato (Art. 7).
A FINE OTTOBRE Amnesty International Italia insieme alla Rete Italiana Pace e Disarmo hanno promosso una serie di manifestazioni che hanno visto un’ampia partecipazione in numerose città italiane. Con uno specifico appello hanno chiesto alle istituzioni azioni concrete per la pace in Palestina e Israele e al governo italiano di «astenersi dal fornire armi a tutti gli attori del conflitto e chiedere agli altri stati di fare altrettanto». A fronte della carneficina in corso – più di 10mila morti tra cui oltre 4mila bambini nella Striscia di Gaza – è urgente che il Parlamento italiano si faccia portavoce di queste istanze e chieda al governo di sospendere tutte le forniture di armamenti a Israele.