In un video un ragazzo urla e piange raccontando l’accaduto. «Ero qui quando sono avvenuti gli attacchi, ho trasportato un corpo e poi un altro decapitato con le mie stesse mani».
IN UN ALTRO dei sopravvissuti cercano di portare aiuto a quelli che stesi a terra, insanguinati e immobili. Da un mese queste scene appartengono alla quotidianità della popolazione di Gaza sotto le bombe. In ogni punto, dal nord invaso dai reparti corazzati israeliani al sud dove i civili dovrebbero sentirsi più protetti e invece subiscono anche loro i bombardamenti. Le immagini di ieri sono giunte da una scuola delle Nazioni unite, la Al-Fakhoura, che ospita migliaia di sfollati del campo profughi di Jabaliya preso di mira più volte nei giorni scorsi. Almeno 15 palestinesi sono stati uccisi da un missile caduto nel cortile della struttura dove da settimane sono accampate dozzine di famiglie che si credevano al sicuro.
Sono morti mentre ad Amman il segretario di Stato americano Antony Blinken ribadiva ai leader arabi alleati che gli Stati uniti non fermeranno l’offensiva militare israeliana e non sosterranno il cessate il fuoco che pure può salvare tante vite umane. Tutt’al più proveranno a strappare a Israele una «pausa umanitaria», poche ore senza bombe e cannonate per far entrare qualche camion con aiuti umanitari in più per i due milioni di palestinesi che sopravvivono in condizioni estreme.
Le riprese dei giornalisti palestinesi della britannica Reuters nella scuola Al Fakhoura mostrano mobili rotti, chiazze di sangue a terra e sul cibo, civili in lacrime e una persona che cerca di dare conforto a una donna sotto choc. «Da quando è diventato normale colpire i rifugi?», domanda un uomo con rabbia. Ma tutto è diventato «normale» a Gaza da quando Usa e Europa hanno deciso che la durissima rappresaglia è lecita dopo gli assalti sanguinosi di Hamas il 7 ottobre con 1400 israeliani e decine di stranieri uccisi. Anche se il conto lo pagano uomini, donne e bambini senza alcuna responsabilità.
JULIETTE TOUMA, portavoce dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa), ha confermato: tra le vittime nella scuola ci sono bambini. «Almeno un attacco (aereo) ha colpito il cortile dove c’erano le tende per le famiglie sfollate. Un altro ha colpito dentro la scuola dove le donne cuocevano il pane». Qualche giorno fa 195 palestinesi erano stati uccisi, da bombe ad alto potenziale sganciate su Jabaliya per uccidere un comandante di Hamas e distruggere una base sotterranea del movimento islamico.
TRA I 9.488 palestinesi uccisi in meno di un mese, anche due donne investite in pieno ieri da una esplosione davanti alla porta dell'ospedale pediatrico Nasser. Altri attacchi, con feriti, nei pressi dell’ospedale Al Quds al quale Israele intima ancora l’evacuazione. I comandi israeliani ieri hanno concesso una finestra di tre ore senza raid sulla superstrada Salah Edin per consentire ai palestinesi del nord di scappare a sud. «Se hai a cuore te stesso e i tuoi cari, ascolta le nostre istruzioni e dirigiti a sud», è il messaggio fatto arrivare a Gaza. Tra 800mila e un milione di palestinesi si sono trasferiti, circa 400mila sono rimasti nel nord, a Gaza city e nei dintorni. Ma fuggire a sud non significa salvarsi. Prevale la paura di essere uccisi durante il viaggio. In un video un uomo in bici grida e piange mentre passa accanto ai corpi dilaniati e bruciati sull’asfalto di un numero imprecisato di civili, tra cui donne e ragazzi, colpiti due giorni fa sulla Rashid Road. Non sono sicure neppure le ambulanze: si è visto venerdì quando due di quelle che procedevano in convoglio dall’ospedale Shifa verso il valico di Rafah con l’Egitto sono state colpite: tra 15 e 20 morti. «Sono inorridito dall’attacco avvenuto a Gaza contro un convoglio di ambulanze fuori dallo Shifa. Le immagini dei corpi sparsi sulla strada fuori dall’ospedale sono strazianti», ha commentato il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres.
ISRAELE SOSTIENE che Hamas usa le ambulanze per spostare uomini e trasportare armi. Versione seccamente respinta dalla Mezzaluna rossa. Tra le migliaia morti, sottolineano i suoi rappresentanti, anche 150 operatori sanitari. 27 ambulanze distrutte, 105 strutture sanitarie danneggiate. E 16 ospedali e 32 centri di assistenza di base non sono operativi per l’esaurimento del carburante. Benzina e gasolio non entrano a Gaza e le agenzie umanitarie limitano i movimenti per non esaurire le ultime scorte. Israele si oppone, afferma che Hamas usa il carburante per rifornire i razzi sebbene lo stesso inviato Usa per i civili palestinesi, David Satterfield, abbia detto che non sono stati registrati casi di sequestro di aiuti da parte di Hamas. «Questa valanga di sofferenze umane non ha precedenti nella storia recente», commenta la dottoressa Tanya Haj-Hassan di Medici senza frontiere alla Bbc.
Israele continua la sua offensiva di terra, ormai all’interno di Gaza city, e i suoi leader politici ripetono che si concluderà tra mesi e solo con la distruzione di Hamas. «Troveremo (il capo di Hamas) Yahya Sinwar e lo elimineremo. Se gli abitanti di Gaza arrivano prima di noi, ciò accorcerà la guerra», ha affermato ieri il ministro della difesa Yoav Gallant descrivendo con soddisfazione i progressi che avrebbero fatto i reparti corazzati israeliani con la copertura dell’aviazione. Hamas resiste. I suoi militanti mettono a segno agguati mortali e ieri hanno ucciso quattro soldati israeliani (28 da quando è cominciata l’offensiva di terra).
IL MOVIMENTO islamico si è preparato per una guerra di lunga durata e crede di poter frenare l’avanzata di Israele abbastanza da ottenere il cessate il fuoco. La fine dei combattimenti e l’avvio di trattative per lo scambio tra i 241 ostaggi nelle sue mani e i 7mila prigionieri politici palestinesi di fatto gli darebbero la vittoria. Un esito a cui il gabinetto di guerra israeliano non ha intenzione di arrivare. Intanto, malgrado i colpi devastanti subiti e le perdite di centinaia di uomini, Hamas continua a lanciare razzi verso Israele, l’ha fatto anche ieri, con sistemi automatici e comandi a distanza da tubi di lancio e gallerie sotterranee preparate da anni per la guerra.