SOCIETA

Voto in condotta, dritti al lavoro. A scuola con il governo Meloni

Il Cdm ha varato le modifiche sulla disciplina e all’istruzione tecnico-professionale
LUCIANA CIMINOITALIA/ROMA

Il Consiglio dei ministri ha varato ieri la riforma del voto in condotta e quella dell’istruzione tecnico professionale. La prima è stata definita dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni una «svolta molto attesa dalla società italiana». Prevede la valutazione in decimi della condotta, che farà media anche per l’ammissione alla maturità e debiti in educazione civica mentre le sospensioni, se superiori a due giorni, si tradurranno in attività formativa, anche fuori dalla scuola. «Riportiamo la cultura del rispetto nelle scuole» ha commentato Meloni. Stesse parole dal ministro dell’Istruzione (e del «merito») Giuseppe Valditara che ha parlato anche di una «scuola che afferma la cultura del rispetto» ed è capace di offrire «competenze di qualità alle imprese».
LA RIFORMA DEL VOTO in condotta «delinea la scuola più come ambiente punitivo che come luogo in cui individuare e prevenire situazioni di disagio - sostiene Paolo Notarnicola, coordinatore nazionale della Rete degli studenti medi - sul debito in educazione civica l’impressione è quella di un utilizzo strumentale della materia contro i "peccati morali" degli studenti». «Occorrerebbe, invece. riflettere su come strutturare meglio l’insegnamento della Costituzione all’interno dell’anno scolastico».
IL SECONDO INTERVENTO varato ieri dal governo riguarda la formazione professionale ed è un altro passo verso quel processo di aziendalizzazione dell’istruzione cominciata più di 20 anni fa, con la Berlinguer-Zecchino, proseguita in maniera trasversale ai partiti con le riforme Gelmini (2008), Buona Scuola (2015) e con i provvedimenti del governo Draghi. A questo lungo percorso il governo di destra, con un ministro espressione della Lega, ha aggiunto una decisa torsione autoritaria.
MELONI E VALDITARA hanno parlato di un canale di inserimento sul mercato del lavoro «di serie A». Una retorica, quella calcistica, tipica dei discorsi sulla competizione di cui si nutre la meritocrazia alla quale il governo ha innalzato un altare quando ha cambiato il nome al «ministero dell’Istruzione». Ma la retorica non basta a nascondere l'ideologia per la quale la dispersione scolastica si combatte avviando al lavoro ragazzini di 13 anni, «predestinati» alle mansioni e non adatti alla conoscenza.
DOMENICA SCORSA, dal palco di Pontida, a tale proposito Valditara ha parlato di «cultura del lavoro» e del Sessantotto come causa di tutti i mali della scuola.
LA RIFORMA dei tecnico-professionali si tradurrà in una sperimentazione per il 30% degli istituti tecnici professionali, a partire dal prossimo anno scolastico, una frequenza ridotta a 4 anni, alternanza scuola-lavoro potenziata fino a 400 ore l’anno, insegnanti «esperti» e cioè imprenditori e professionisti fortemente legati alla filiera del territorio. Inoltre il sistema di certificazione dei percorsi di formazione regionale si baserà sui test Invalsi. È facile intuire come bambini provenienti da famiglie a bassissimo reddito, i cosiddetti «fragili» potrebbero essere prossimamente incanalati verso questo tipo di formazione.
«SI STA PERCORRENDO una strada che non ha nulla di nuovo: alla base c’è l’idea dell’avviamento professionale come alternativa alla conoscenza - spiega Gianna Fracassi, segretaria Flc Cgil che ha lasciato il tavolo al ministero per protesta - Non sarà affatto un percorso di pari dignità con quello liceale, anzi connoterà una canalizzazione precoce e binaria». Quanto alla dispersione scolastica, aggiunge Fracassi, si continua a pensare che si contrasti avviando al lavoro: una misura che non coincide con le fasi di sviluppo dell’età evolutiva, una ideologia ormai smentita da decenni di ricerca pedagogica e dalle negative esperienze in diversi paesi europei».

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