Per tutto il week end, è ancora possibile visitare Home Sweet Home (a cura di Nina Bassoli) presso la Triennale di Milano. In occasione del suo centenario, l’istituzione ospita una mostra che racchiude molti dei suoi temi specifici di ricerca: l’abitare, la residenza domestica, il design. La casa è da sempre una questione densa e attuale, tanto più in questo momento, nel finale di una pandemia che l’ha sofferta come gabbia e nel vivo di una guerra che la sogna con disperazione.
IL TITOLO SEMBRA SOFFERMARSI su una dimensione affettiva del tema, dove l’aggettivo Sweet ci rimanda al mondo del nido, del focolare, del rifugio nel quale trovare protezione. Ma la sensazione del sentirsi a casa, all’interno della mostra, dura molto poco; soltanto in apertura, una scacchiera di celebri oggetti di design, posti su dei piedistalli in maniera autorevole, ci riporta alla routine domestica, richiamando le azioni del cucinare, pulire etc.. Superata questa prima soglia si entra nel vivo della narrazione, intonata da due voci in contrappunto: l’espressione del presente, affidata a dieci installazioni commissionate ad alcuni noti studi di architettura (Assemble Studio, Céline Baumann, Matilde Cassani, Canadian Center forArchitecture, Dogma, maio, Sex & the City, Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, Diller Scofidio+Renfro e Lacaton & Vassal Architectes), e il racconto attraverso gli archivi della Triennale orchestrato da cinque storiche dell’architettura - Gaia Piccarolo, Annalisa Metta, Maite García Sanchis, Sex & the City e Imma Fiorino.
Nella visione multidisciplinare della rassegna, i confini del nido esplodono sostituiti dalla ricerca di un dialogo con la società, la politica e la tecnologia.
Caro bastava chiedere è la risposta di del gruppo Sex and the city, che reagisce al tema con una riflessione sul ruolo della donna all’interno dello spazio domestico. Altra visione di matrice politica è quella di Maio, studio catalano che allestisce Urban K-Type; la ricerca si basa su alcune esperienze diffuse in varie parti del mondo dove la cucina urbana da luogo di emarginazione si trasforma in spazio di riscatto ed emancipazione sociale.
MOLTO SCENOGRAFICO è poi il Parlamento delle piante della paesaggista Baumann che allestisce una serie di piante di specie diverse all’interno di un mega vaso giallo; l’opera, che distrattamente percepiamo come un elemento di arredo, in realtà nasconde una riflessione amarissima su come le piante d’appartamento raccontino storie di guerre coloniali violente e sanguinose.
Alcuni degli studi hanno risposto all’invito con il linguaggio specifico dell’architettura, come Three Windows, opera di Diller e Scofidio del 1986 appositamente restaurata e riallestita per la mostra, che racconta della finestra come limite tra dimora e natura, tra interiorità ed esteriorità. Lifespan è l’installazione dell’architetta Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, composta da una serie di elaborati grafici di case, che sottolineano la necessità di una dimensione aperta e in divenire del progetto di residenza.
CONTEMPORANEAMENTE alle narrazioni imbastite da queste opere, si incontrano dei lunghi tavoli, realizzati con elementi di riuso conservati nei magazzini del museo, dove le foto degli archivi della Triennale documentano, nel tempo, alcuni temi-cardine della casa, e rendono l’esplorazione interattiva.
Il percorso si conclude con il progetto Trasformare, non demolire, l’opera degli architetti Lacaton & Vassal dove grandi stampe raccontano le potenzialità del re-cycle delle strutture esistenti in un complesso di case popolari a Bordeaux.
USCENDO DALLA MOSTRA torna in mente, insistentemente, l’aggettivo Sweet del titolo; l’idea del focolare domestico diventa tuttavia sempre più distante, sporadicamente leggibile in alcuni scatti in bianco e nero di interni d’epoca, difficilmente rintracciabile nelle opere allestite. L’esposizione mette in crisi la visione rassicurante del nido, la Casa dolce casa schiude il suo guscio e assorbe la complessità di questioni e tensioni che accendono il dibattito contemporaneo.