VISIONI

Kobo Abe, tra letteratura e grande schermo

Maboroshi
MATTEO BOSCAROLGIAPPONE

Nel 2024 si celebrerà il centenario della nascita di uno degli scrittori giapponesi più importanti ed influenti del secolo scorso, Kobo Abe, famoso per i suoi romanzi, saggi, racconti e piece teatrali surreali e spesso definiti, giustamente, kafkiani. È stata diffusa qualche settimana fa la notizia che per omaggiare a dovere l’autore nipponico è in preparazione, sarà girato questa estate, un nuovo lungometraggio tratto da uno dei suoi libri più famosi, Hako otoko (L’uomo scatola), pubblicato nell’arcipelago nel 1973. Il romanzo segue un uomo senza nome che rinuncia alla sua identità per vivere con una grande scatola di cartone sopra la testa, incontrando nel suo girovagare per le strade della capitale dell’arcipelago una serie di bizzarri personaggi.

Nella seconda metà del secolo scorso, quando lo scrittore era ancora in vita, la carriera letteraria di Abe si è spesso intersecata con la produzione cinematografica dell’arcipelago, dando vita a fruttuosi collaborazioni e adattamenti. Le opere più famose e più riuscite tratte da suoi libri o scritti, lungometraggi a cui lo stesso scrittore partecipò attivamente, sono quelle dirette da Hiroshi Teshigahara e uscite tutte in meno di un decennio, fra il 1962 e il 1968, Pitfall, La donna di sabbia, The Face of Another e The Ruined Map. Specialmente La donna di sabbia e The Face of Another sono considerati ancora oggi alcuni degli esempi più riusciti della nuova ventata che investì il cinema giapponese dagli inizi degli anni sessanta in poi. Un cinema che durante il decennio in questione spesso comunicava con le altre arti, performance, teatro sperimentale, e musica, o meglio, il cinema come uno dei modi in cui la creatività di chi era cresciuto dopo la guerra e che contestava fortemente il presente ed il passato del paese asiatico, prendeva forma.

L’uomo scatola è prodotto dalla giapponese Happinet Phantom e sarà diretto da Gakuryu Ishii (ex Sogo Ishii), autore affacciatosi nel mondo del cinema giapponese giovanissimo sul finire degli anni settanta con i suoi lavori punk quali Panic High School (1978), Crazy Thunder Road (1980), o Burst City (1982) che molto pescavano dall’estetica e dalla scena amatoriale e indipendente dei film realizzati in 8 mm. In seguito Ishii ha sviluppato e portato la sua poetica in ambiti diversi, attraverso lungometraggi comunque mai banali e con approcci talvolta riusciti e talvolta meno. Solamente per restare negli ultimissimi anni, That’s It del 2015 e Bitter Honey dell’anno successivo sono solidi ed in alcuni punti ottimi lavori, mentre Punk Samurai Slash Down del 2018 vira decisamente un po’ troppo verso il demenziale. L’ultimo lavoro targato Ishii è un ulteriore esempio di come l’approccio alla settima arte di Ishii, sia, nei migliori dei casi, qualcosa di fortemente originale e che quasi ritorna all’amatoriale dei suoi esordi. Self Revolutionary Cinematic Struggle (2023) è infatti un lavoro in cui, assieme ad alcuni studenti dell’università dove insegna, ha messo in immagini la sua crisi come regista e creatore di immagini.
Visti i toni surreali, farseschi e da teatro dell’assurdo che caratterizzano la produzione letteraria di Abe, forse il tocco di Ishii potrebbe rivelarsi quello giusto, anche perché come interpreti in L’uomo scatola il regista giapponese ritroverà due attori con cui ha spesso lavorato e con successo in passato, Masatoshi Nagase e Tadanobu Asano. I due sono ad esempio i due protagonisti dell’ipercinetico Electric Dragon 80.000 V, un mediometraggio del 2001 che riassume molto bene lo stile quasi fumettistico e poco basato sulla trama del cinema di Ishii.

matteo.boscarol@gmail.com

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