EUROPA

La Grecia torna alle urne, ma rischia il binario morto

Formare il governo a questo round sarà difficile. Mentre la situazione sociale peggiora
GIANSANDRO MERLIgrecia

Fuori dalla stazione dei treni di Salonicco due manifesti di Syriza e uno del partito comunista Kke ricordano timidamente l’approssimarsi delle elezioni politiche.
ULTIMA FERMATA. È qui che la sera del 28 febbraio scorso sarebbe dovuto arrivare l’Intercity 62 partito cinque ore prima da Atene. Alle 23.22, invece, si è schiantato contro un treno merci vicino al paese di Tempi: 57 morti, il peggior disastro ferroviario della storia greca. L’impatto sul voto di questo incidente è stato uno dei principali interrogativi della campagna elettorale. Secondo uno studio del politologo Yannis Mavris alle manifestazioni successive alla tragedia hanno partecipato 2,5 milioni di persone. Ma le proteste sono durate poche settimane. «Chiediamo al popolo greco di votare per motivi etici, non per interesse. Ricandidare quell’uomo è una provocazione», dice Maria Karystianou, presidente dell’Associazione vittime dell’incidente. A Tempi ha perso una figlia di 20 anni. «Quell’uomo» è Kostas Karamanlis, rampollo di una famiglia che ha influenzato profondamente la storia politica greca, ed ex ministro dei Trasporti. Dieci giorni prima dell’incidente aveva detto al parlamento che non c’erano problemi di sicurezza. Poi si è dovuto dimettere. Ma Kiryakos Mitsotakis, leader di Nea Dimokratia (Nd), lo ha ricandidato.
AL TERZO BINARIO è arrivato l’Intercity 53 diretto nella capitale. Carrozzeria e sedili blu, sul fianco la scritta: «Hellenic Train. Ferrovie dello Stato italiane». La Troika aveva chiesto di privatizzare il trasporto su rotaie già nel 2010. Nel 2013, governo di Nd, le ferrovie sono finite in un fondo per la liquidazione. Nel 2016, governo di Syriza, è stata accettata l’offerta di Trenitalia: 45 milioni di euro. Relativa solo ai servizi passeggeri, cioè ai vagoni. Binari, sistemi di sicurezza e personale sono in mano ad altre compagnie. Spezzettare il sistema è stata una precondizione della svendita su cui ha insistito la Commissione Ue. Secondo Christos Retsinas, ex responsabile della sicurezza di Hellenic Train, ha causato la chiusura del centro di controllo unificato, moltiplicando i rischi.
Mitsotakis aveva cercato di tenere bassa l’attenzione sulla vicenda, ma martedì i familiari delle vittime hanno denunciato 17 tra esponenti politici e amministratori delle società coinvolte. Chiedono di indagare sugli ultimi 15 anni. Il caso è riesploso.
A BORDO DELL’INTERCITY ci sono turisti, migranti e greci. La carrozza è piena a metà. Maria e Nikos, il cognome non vogliono dirlo, stanno tornando a casa, a Larissa. Lei per votare, lui no. «Ho messo la croce su Syriza con convinzione fino al 2015. Fino al terzo memorandum. L’ho fatto controvoglia nel 2019. Ma stavolta non li voto», dice Nikos. Ha 30 anni e tra vari impieghi occasionali porta a casa 550 euro al mese. Maria studia fisica e tre sere a settimana lavora in un bar: «Voterò Syriza perché non voglio altri quattro anni di estrema destra», taglia corto. Tradizionalmente il voto giovanile, che per la prima volta riguarda chi ha 16/17 anni, è più orientato a sinistra. Sono 438.595 le ragazze e i ragazzi aggiunti all’elettorato dopo le ultime politiche (su un totale di quasi 10 milioni di elettori). Non tutti, però, potranno infilare la scheda nell’urna. Molti studiano o lavorano lontano da casa e non esistono sconti o permessi per tornarci. Nd ha respinto le proposte per semplificare l’accesso ai seggi presentate da diversi partiti di sinistra.
AD ATENE la primavera è arrivata in ritardo ma inizia a farsi sentire. Uscendo dalla stazione il sole accende il giallo dei taxi che attendono i passeggeri. In pochi minuti si arriva a Exarchia. Sui muri del quartiere, insorto nel 2008 per l’omicidio di Alexis Grigoropoulos e diventato il centro dei movimenti greci ed europei tra 2010 e 2015, i manifesti anarchici invitano allo «sciopero del voto». La novità, però, è nella piazza recintata per i lavori della metro e circondata giorno e notte dai celerini. Fino a poco tempo fa avevano difficoltà persino ad avvicinarsi a questo luogo.
TUTTI I SONDAGGI, su cui però la fiducia è scarsa, danno Syriza diversi punti dietro Nd. Il partito di governo sarebbe tra 32-38%, l’altro poco sotto il 30%. Seguirebbero Pasok (centro-sinistra) al 10% e poi Kke, Mera25 di Yanis Varoufakis e l’ultradestra di Soluzione greca. Si vota con il proporzionale assoluto e per governare da soli serve circa il 46%. Altrimenti coalizione, ma non se ne vedono all’orizzonte. Almeno per ora. Il rischio è un binario morto dei partiti. Solo nel caso in cui Syriza arrivasse primo si aprirebbe qualche possibilità, soprattutto di alleanza con il Pasok. Nd vuole governare da sola, convinta di poterci riuscire al prossimo giro: se nessuno ottiene la fiducia si tornerà al voto, tra fine giugno e inizio luglio, con un sistema elettorale diverso che garantirà un cospicuo premio di maggioranza. Basterebbero il 36% dei voti per un esecutivo monopartito.
OLTRE AL DISASTRO FERROVIARIO nella campagna elettorale ha tenuto banco lo scandalo delle intercettazioni a esponenti dell’opposizione, vertici militari e religiosi che chiama in causa il governo uscente. Nd conta di trarre vantaggio dall’aumento di pensioni e salari minimi e dai sussidi distribuiti, spesso a società e oligarchi amici, con i fondi Ue. I principali indicatori economici sembrano indicare un lento miglioramento: durante l’ultimo governo il rapporto debito pubblico-Pil è sceso di 10 punti, fino al 170% (ma in termini assoluti non è migliorato); tra 2019 e 2022 la disoccupazione è calata dal 17,31% all’11,9% e il prodotto interno lordo è passato da 173,3 a 184,6 miliardi di euro; quest’anno la Commissione prevede una crescita del 2,4%, la quarta dell’Ue.
«I NUMERI PROSPERANO, ma le persone soffrono», diceva Georgios Papandreou fondatore del Pasok. E infatti la sensazione diffusa tra i greci è che le cose vadano a rotoli. «Il Pil cresce grazie a investimenti stranieri e privatizzazioni che non portano benefici alla popolazione. L’inflazione, che riguarda soprattutto affitti e beni alimentari, colpisce duramente i redditi bassi. Il coefficiente di Gini, che misura le disuguaglianze, è tornato a crescere con il governo di Nd. Le classi più povere sono in una situazione economica peggiore che all’inizio della crisi», spiega l’economista Haris Golemis. Ha un passato professionale nella Banca centrale greca e uno politico al fianco di Tsipras, fino al 2017. Riconosce che i due principali partiti hanno programmi economici di stampo molto diverso, neoliberista Nd e socialdemocratico Syriza. Ma è scettico che quest’ultimo possa essere messo in pratica. «Tsipras non contesterà la direzione generale che viene dall’Ue. Tenterà però di condividerne il peso sociale in maniera più egualitaria», afferma.
DEL RESTO SYRIZA non incarna da tempo quel potenziale di rottura che sull’onda delle piazze gli aveva permesso di moltiplicare per sei le preferenze nel 2012 e andare al governo nel 2015. Dopo la firma del terzo memorandum il partito si è candidato a incarnare la governabilità oltre che il governo. Ha spostato la sua linea in direzione del centro e persino rincorso Nd nelle retoriche nazionaliste verso lo scomodo vicino turco. Il suo programma, in ogni caso, resta tra quelli più a sinistra delle forze che in Europa ambiscono a governare. Aumento dei salari, protezione della prima casa dai debiti, riduzione delle tasse, innalzamento della spesa sanitaria dal 4% al 7% del Pil, ripubblicizzazione dell’energia elettrica. La sconfitta nei negoziati del 2015, però, è un fardello che continua a pesare. «Syriza al governo è stata costretta a implementare misure impopolari molto dure. Ma non poteva fare altrimenti. Alcuni elettori non l’hanno perdonata neanche quando è andata all’opposizione. Credo che una buona parte di loro la voteranno comunque quando avranno di fronte l’alternativa tra Mitsotakis e Tsipras», riflette Sotiris Maniatis, direttore di Efsyn, quotidiano di sinistra pro Syriza. Tsipras ha bisogno di polarizzare intorno a sé l’elettorato più radicale, anche con l’arma del «voto utile», e deve sperare che quello più moderato gli creda.
IL DISCORSO SULLA «ROTTURA» ambisce a rappresentarlo Varoufakis, che da questo conta di ottenere un buon risultato. Con proposte economiche e sociali molto a sinistra e l’idea di poter tornare al tavolo per mettere in questione l’austerità. In caso di fallimento, pur non dicendolo esplicitamente, l’ex ministro delle Finanze resta convinto sia preferibile uscire dall’euro piuttosto che restare legati per sempre ai diktat finanziari europei. A suo sfavore gioca una congiuntura ancora peggiore di quella del 2015. In Grecia non esiste una mobilitazione generalizzata come allora, ha vinto la rassegnazione allo stato di cose presenti. L’asse politico di paesi membri e organi comunitari è sempre più a destra. La grande attenzione verso la penisola ellenica è sparita. Se l’Europa della violenza economica neoliberista si faceva ad Atene, quella del riarmo bellicista si fa a Varsavia.
UNA COSA è certa: i memorandum sono finiti nel 2018 ma salari, diritti e condizioni di vita sono lontani dall’era precedente al collasso economico. E oggi, dopo tante sconfitte e governi di ogni colore, è più difficile immaginare cambiamenti tangibili. La Grecia rischia di trovarsi così su un altro binario morto: quello sociale. There is no alternative, si diceva. In parte sembra più vero che mai. In parte, nonostante tutto, non lo è.
(versione integrale su ilmanifesto.it)

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