CULTURA

Porpora, un corpo politico e insubordinato

Al Centro Pecci, la mostra della fotografa Lina Pallotta
TERESA MACRÌitalia/Prato

Il nuovo corso del Centro Pecci, diretto da Stefano Collicelli Cagol, è stato da poco inaugurato da due mostre affascinanti, in cui sia il vibrante contenuto che l’inusitato allestimento che le accomuna, tendono a riossigenare di una vitalità inedita l’organismo architettonico anulare. Le nuove mostre Lina Pallotta: volevo vedermi negli occhi ed Eccentrica. Le collezioni del Centro Pecci, si rincorrono tra loro facendo attraversare, in rotazione, tutto lo spazio espositivo come in un ottovolante.
Lina Pallotta: volevo vedermi negli occhi a cura di Michele Bertolino e Elena Magini (fino al 15 ottobre) è una sorta di «discorso amoroso» che la fotografa innesta con intensità e tecnica sulla identità di Porpora Marcasciano, «giovane favolosa», a cui è legata profondamente dal ’77 e che compendia la loro amicizia negli anni vissuti tra l’Italia e New York.
Come scriveva Vincenzo Agnetti nel 1971 Tra me e te l’infinito inesistente sembra avvolgerli. Porpora che trae il suo nome dalla suggestione letteraria del personaggio di Porporino, soprano eunuco nel romanzo omonimo di Dominique Fernandez, è soprattutto una attivista, consigliere comunale nonché presidente del Mit (Movimento Identità Trans).
È UNA CREATURA SPECIALE, poiché fin dagli anni dell’incandescente Movimento ’77, ha incarnato l’antagonismo politico e culturale di una società omologata e conservatrice come quella italiana. L’ha incalzata, combattuta e vissuta in tutte le sue idiosincrasie, spesso a suo rischio e pericolo, senza mai declinare o arrendersi. Per chi ha vissuto pienamente quegli anni di insubordinazione, Porpora è stata un soggetto politico che ha spinto verso disomologanti orizzonti di cambiamento. Sul suo tribolato sé ha stilato il libro Tra le rose e le viole, uscito con manifestolibri nel 2002 (rieditato nel 2020 da Alegre). Come il successivo, Favole narranti. Storie di transessuali (sempre con manifestolibri nel 2008), la cui storia è stata traghettata al cinema da Roberta Torre in Favolose (2022), proiettato all’opening della mostra.
BELLA E RADIANTE, Porpora è l’emblema di un lucido atto di auto-affermazione e di soggettivazione antagonista, ancora oggi, era di post-politica e di trionfo del politically correct, in cui appaiono aperture identitarie (magari per poter essere controllate). In ogni caso, la scrittura fotografica di Lina Pallotta è essenziale per la metafora bruciante che articola. Il suo è un racconto generazionale, fiammeggiante e arduo al tempo stesso, che attraverso e insieme a Porpora, racconta la responsabilità morale dell’esserci, l’arditezza di affermare le proprie utopie, la porosità della propria soggettività, lo sconfinamento dalle gabbie identitarie e il giogo di subire indefessamente la clandestinità insieme all’euforia del proprio essere. La carezza narrativa di Pallotta è data da quella grana fotografica grumosa che aderisce alla vita intima e politica di Porpora e che si innerva per frammenti, aporie e fratture.
La mostra al Pecci, infatti, è dislocata per sinestesie e sorprendenti allocamenti, dall’anticonvenzionale allestimento di Giuseppe Recupero, che cattura lo spettatore nel caleidoscopico universo di Porpora, come sé e corpo glorioso in cui potersi perdersi. Le immagini, tutte in bianco e nero, bislacche e fuligginose, si auto-reggono in piedi, accostandosi tra esse oppure stagliandosi tra le pareti come cut-up esistenziali.
Pallotta, nell’indugiare su Porpora, sembra sottoscrivere la sua radicale vicinanza ai movimenti underground e alle sottoculture. Nata a San Salvatore Telesino (Bn) ha vissuto e lavorato molto a New York, diplomandosi in Fotogiornalismo e documentario fotografico all’Icp-International Center of Photography.
SEGUENDO IL CONTINUUM circolare del Pecci ci si introduce in Eccentrica. Le collezioni del Centro Pecci (fino al 31 dicembre) a cura di Stefano Collicelli Cagol, la raffinatissima selezione operata dal neo-direttore. In un ripensato habitat, che esprime un nuovo modo di gestire il Centro, si incontrano il Concetto spaziale. Attesa di Lucio Fontana, la serigrafia Jacqueline di Andy Warhol, Nan Goldin, West, un lavoro a 3 canali dei Kinkaleri, Jannis Kounellis, Sylvie Fleury, Liliana Moro, l’installazione Multi-Bed #1 (1992) di Vito Acconci, la poco nota Commemuro (1992) di Francesco Torrini sull’Hiv, Selfportrait: Transfer Identity (1970) di Valie Export e l’architettura radicale di Archizoom, Superstudio, Ufo, tra gli altri.
Anche qui, l’allestimento realizzato dallo Studio FormaFantasma secondo criteri di sostenibilità e accessibilità, è quasi un magnetico site-specific. Il sistema di pareti transeunti, in tessuto, infatti, rimanda alla tradizione tessile pratese e dipana, attraverso sospensioni e diaframmi, le opere. È un eccentrico viaggio di reiscrizione e destrutturazione della collezione e dell’archivio e una inedita esperienza di rivivere l’eteroclito collezionismo museale.

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