CULTURA

L’isola degli arrusi, quei confinati per «degenerazione sessuale»

IL PROGETTO FOTOGRAFICO DI LUANA RIGOLLI A PALAZZO D’ACCURSIO
LINDA CHIARAMONTEITALIA/bologna

«La piaga della pederastia in questo capoluogo tende ad aggravarsi e generalizzarsi perché giovani finora insospettati, ora risultano presi da tale forma di degenerazione sessuale (...) Questo dilagare di degenerazione ha richiamato l’attenzione della locale Questura che è intervenuta per stroncare o arginare tale aberrazione sessuale che offende la morale esiziale alla sanità e al miglioramento della razza».
COSÌ RECITA parte del verbale del 1939 redatto dal questore di Catania Alfonso Molina. Pervertimento, depravazione, pederastia, vizio contro natura, modi effemminati, sono alcune delle accuse scritte nei documenti che hanno portato all’arresto, poi al confino a San Domino, alle Tremiti, quarantacinque omosessuali della città siciliana. Uno dei più numerosi ed eclatanti dell’intero paese per via dell’inflessibilità e del rigore con cui Molina faceva spiare e osservare persone sospette, durante il fascismo considerate pericolose per la razza italiana e l’omosessualità un reato politico.
È QUESTA LA STORIA poco conosciuta raccontata da Luana Rigolli, classe 1983, nel progetto fotografico L’isola degli arrusi, Omosessuali al confino nell’Italia fascista, in mostra a Palazzo d’Accursio – Manica Lunga, a Bologna, vincitore nei giorni scorsi del premio Max Spreafico del circuito off al Festival Fotografia Europea a Reggio Emilia. A ispirare la fotografa è stato il libro di Gianfranco Goretti e Tommaso Giartosio La Città e l’isola. Omosessuali al confino nell’Italia fascista: da questo spunto l’autrice ha iniziato una ricerca all’Archivio centrale dello Stato a Roma per ritrovare i nomi e le identità dei protagonisti.
Il materiale biografico, le foto segnaletiche, le lettere, i verbali dei carabinieri, i documenti delle visite mediche, hanno contribuito a creare la narrazione di questo pezzo di storia cominciata nei primi mesi del 1939 e conclusasi nel giugno del ’40 quando i confinati furono mandati a casa per lasciare gli spazi di San Domino agli oppositori politici, ritenuti più pericolosi.
Gli arrusi, termine siciliano dispregiativo e offensivo, avevano tra i 18 e i 50 anni ed erano stati fermati con l’accusa di pederastia passiva. Per poter attestare la loro omosessualità avevano subito visite mediche invasive. Il confino avrebbe dovuto durare cinque anni per reati contro il buon costume e l’integrità della razza. Ad essere arrestati erano solo gli omosessuali passivi, gli altri venivano considerati maschi.
GAETANO ERA fra i più facoltosi, casa sua un luogo di ritrovo, feste e banchetti, gli altri erano di origini più umili, barbieri e calzolai. Per ricreare l’atmosfera di clandestinità Rigolli ha fotografato in notturna i luoghi in cui gli uomini si incontravano a Catania. I giardini, i vicoli intorno al porto, l’arvulu rossu, un grande platano dove si davano appuntamento i più giovani, e la sala da ballo di piazza sant’Antonio, oggetto di una grande retata nel ’39.
DALLE CARTE ORIGINALI ritrovate, Luana Rigolli ha creato dei collage con alcune delle accuse e dei termini usati dalle forze dell’ordine per definire gli uomini: larva di corte, batteva il marciapiede, suole congiungersi contronatura, il vizio che pratica è infame… Fra gli scatti, le impronte digitali, le lettere di supplica e richiesta di grazia indirizzate al Ministero degli interni, i referti. Per arricchire la storia, la fotografa ha scelto di aggiungere alcuni oggetti come lo speculum degli anni ’20 trovato fra gli strumenti conservati nelle bacheche del museo della medicina della Sapienza di Roma, la carta di permanenza, un libricino rosso, in cui erano annotati i dati personali, e il nervo di bue con cui venivano puniti. I luoghi di San Domino sono stati documentati di giorno, visto che ai confinati era consentito muoversi liberamente dall’alba al tramonto, prima di essere di nuovo rinchiusi nei «cameroni».
FRA I DOCUMENTI anche le prescrizioni da rispettare come l’obbligo di un lavoro stabile pure se l’isola, impervia, selvaggia, e quasi disabitata, non offriva possibilità, ad eccezione di un’azienda agricola. Gli arrusi dovevano mantenere una buona condotta e l’obbligo di presentarsi all’appello, era vietato allontanarsi e uscire negli orari non stabiliti. Tante le testimonianze di familiari che chiedevano che venisse annullato il confino e di lettere degli stessi confinati che motivavano con violenze e abusi i risultati delle visite mediche.
L’isola degli arrusi è anche un progetto editoriale autoprodotto dall’artista. La mostra, realizzata dall’associazione Komos e dal Centro di documentazione Flavia Madaschi – Arcigay Il Cassero di Bologna, visitabile fino al 21 maggio, è dedicata a Lucy Salani, da poco scomparsa, e a tutte le persone a cui è stata negata la libertà di espressione della propria identità per il pregiudizio e la violenza omolesbobitransfobica. Bologna è stata la prima città italiana, nel 1990, a dedicare un monumento alle vittime omosessuali del nazifascismo.

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