COMMUNITY

Francesco Carletti e la tratta degli schiavi

Divano
ALBERTO OLIVETTIITALIA

«Domani, se così li piacerà, li narrerò il modo e come negotiano in detta isola di Capo Verde, et della maniera che si comprano detti schiavi». Così Francesco Carletti (1573 o ’74-1636) rivolgendosi al «Serenissimo Gran Duca di Toscana Don Ferdinando Medici» nel primo dei dodici «ragionamenti» con i quali illustra «il suo grande e maraviglioso viaggio, ch’egli fece in circondare tutto l’Universo per via dell’Indie occidentali dette Mondo Nuovo, et da quelle all’Indie orientali, et suo ritorno per quelle sino ad essere arrivato in Firenze il dí 12 di luglio 1606, di dove prima s’era partito l’anno 1591 alli 20 del mese di maggio». Carletti, commerciante fiorentino, redige i Ragionamenti del mio viaggio intorno al mondo (1594-1606) attenendosi ad una scrittura che rende in maniera viva il linguaggio parlato e restituisce i modi di una conversazione fluente e, ricca come è di argomenti, situazioni e descrizioni che trattano «solo di quelle cose che ho fatte e viste in detti mia viaggi», come Carletti avverte, corre piana e spedita, netta e precisa. Il lettore, che viene posto nella condizione d’un ascoltatore che segua i racconti dalla viva voce del narratore come fosse anch’egli seduto accanto al Serenissimo Gran Duca, ne resta avvinto. Carletti non manipola e non indora, non attenua e non mitiga fatti o questioni scabrose. Parla il vero anche quando, all’avvio del suo viaggio intorno al mondo, racconta della decisione di suo padre, alla quale è tenuto a sottostare, di comprare schiavi al Capo Verde per, traversato l’Atlantico, rivenderli con buon profitto a Cartagena, sulla costa dell’attuale Colombia.
«Ieri, Serenissimo Prencipe, promessi di raccontarli il modo di negoziare» l’acquisto di schiavi, che i Portoghesi «tengono alla campagna nelle loro ville, a branchi come il bestiame». I Carletti, «al prezzo di cento scudi l’uno», ne comprano «settanta cinque, li dua tertii maschi et l’altro femmine, mescolatamente vecchi e giovani, grandi et piccoli tutti insieme, secondo l’uso del paese, in branco come tra di noi si compra un armento di pecore, con tutte quelle avertenze e circostanze di vedere se sieno sani e ben disposti e senza difetto alcuno della persona loro». Carletti ci descrive con una prosa asciutta ogni pratica incombenza che l’‘affare’ comporta. A cominciare dalla marchiatura con la quale i padroni segnano la ‘merce’ di loro proprietà con un sigillo «che si fa fare d’argento e poi infocato al lume della candela di sego, con il quale si unge la scottatura e segno che si fa loro sopra il petto overo sopra un braccio o dietro le spalle per riconoscerli». Ci dice come, in attesa dell’imbarco, sia necessario disciplinare e mantenere ordinato il «branco» umano, come ‘governarlo’ col dar loro da bere e da mangiare, come organizzare il loro ricovero mantenendo ciascuno nello spazio assegnato, e vigilare ad evitare risse, contagi e decessi.
E poi ci dice di come si avesse a disporre quel ‘carico’ nella nave, «accomodando in essa gli uomini sotto la coperta stivati l’uno appresso l’altro, in maniera così stretti che a gran pena, volendo, si potevano voltare da un lato all’altro; le donne stavano di sopra per tutto la nave a lor modo il meglio che potevano». Lungo la traversata, ogni giorno, ci dice Carletti, veniva gettato a mare il corpo di chi moriva, per lo più «di flusso di sangue».
Carletti denuncia l’orrendo commercio, e da allora se ne si terrà sempre lontano: «a me questo negotio non piacque mai: pure, come si sia, noi lo facemmo». Scrive: «Cosa veramente, c’ha ricordarmi di averla fatta per comandamento di chi poteva in me, mi causa una certa tristezza e confusione di coscientia, perché veritieramente, Serenissimo Signore, questo mi parve sempre un traffico inumano et indegno della professione et pietà cristiana; non è dubbio alcuno, che si viene a fare incetta d’uomini o, per dire più propriamente, di carne e sangue umano, e tanto più vergogna, essendo battezzati, che se bene sono differenti nel colore e nella fortuna del mondo, nulladimeno hanno quella medesima anima formatali dall’istesso Fattore che formò le nostre».

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it