VISIONI

God save the business (oltre la corona)

Habemus Corpus
MARIANGELA MIANITIgb/londra

E alla fine dei tre giorni di gloria, dopo ricevimenti, parate militari a piedi e a cavallo, pennacchi, ricami, passamanerie d’altri tempi, bottoni accecanti, dirette televisive con sdraiati commentatori che davano spazio a sudditi incantati e festanti, cocchi supremamente dorati, mantelli sovraccarichi di gale e coccarde, polverosi ermellini che servivano sei paggi a portarli, corone traballanti che l’arcivescovo ha dovuto calcarle per bene sulle fronti per evitare il rischio caduta in diretta mondiale, scettri e spadoni con diamanti grossi come uova reclamati da antiche colonie, fratelli non più presentabili o figli ribelli esclusi da balconi regali, una sorella in così alta uniforme da guerriera che sembrava dire «Sarei io la vera erede spirituale», i due protagonisti, re e regina, sommamente impacciati sotto il peso dei simboli, curvi per l’età non più verde, ingabbiati da rigidità ritualistiche e vestimentarie, lui con lo sguardo smarrito, lei preoccupata nell’incedere, un coronation concert sul prato del castello di Windsor che la regina Elisabetta non si sarebbe mai sognata di fare, sul palco un parentame reale in gran parte con seri imbarazzi a battere il ritmo, cosa che la dice lunga sul complesso rapporto con la libertà di espressione che deve regnare in quella famiglia, accorati appelli al rispetto per l’ambiente simbolizzati da centinaia di droni illuminati che disegnavano nel cielo notturno una farfalla, un coniglio, una balena mentre noi pensavamo a quanti kilowatt sono serviti per cotanto spettacolo, street party del popolo che festeggiava con corone di cartone o a uncinetto, pop star drappeggiate in così tanti velluti che sembravano torte ipercaloriche, una neo regina che ha davvero fatto meraviglie essendo riuscita a passare da amante e divorziata a incoronata, roba che pochi decenni fa avrebbe costretto il neo incoronato ad abdicare, dopo tutto questo, alla fine del concertone di domenica sera appare una mappa luminosa che lascia intendere un compito simbolico, e anche politico, della corona. È la mappa del Commonwealth, i cui rappresentanti sono stati invitati e abbondantemente omaggiati.

Gli inglesi hanno voluto la Brexit, e molti cittadini se ne sono pentiti, l’impero di un tempo non esiste più, ma il Commonwealth con i suoi interessi di scambi commerciali sì, e abbraccia ben 56 nazioni su tutto il globo terrestre.
Questo re poco carismatico, ma molto ricco che secondo un calcolo del «Guardian» ha un patrimonio di due miliardi di euro, cifra raggiunta grazie anche all’eredità di Elisabetta II sulla quale non ha pagato una sterlina di tasse di successione, potrebbe servire alla politica per consolidare gli interessi economici della madre patria. Un assaggio si è avuto proprio nel giorno dell’incoronazione con l’incontro fra il premier Sunack e quello ucraino Shmihal che, in vista della conferenza internazionale sull’Ucraina che si terrà il prossimo giugno a Londra, hanno parlato dei soldi che serviranno all’Ucraina per sopravvivere e poi ricostruirsi. L’Fmi per ora ha dato 15 miliardi di dollari per i prossimi due anni, ne serviranno più di centio100 sino al 2027, i danni finora calcolati sono di 411 miliardi, una delegazione del fondo Blackrock è andata a Kiev per discutere del coordinamento degli aiuti, il governo ucraino sta preparando un piano di privatizzazioni, fra cui quelli di grandi gruppi energetici come Energoatom, per attirare investimenti stranieri.
Insomma, mentre noi guardavamo come venivano posate sulle teste le luccicanti corone, dietro le quinte si discuteva di affari, al grido di «God save the business».

mariangela.mianiti@gmail.com

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