VISIONI

«Victor Victoria», ritratto di campione

Le origini umili, le battaglie politiche, il successo e la «Osimhen mania»
FLAVIANO DE LUCAnigeria/italia/napoli

Più di quaranta anni fa, the Black President, un artista nigeriano -musicista, attivista politico, profeta visionario - incendiò la Villa Comunale di Napoli con un’esibizione straordinaria, con le sue tirate di sax, l’afrobeat poliritmico e incessante della band, le danze contagiose, le spiegazioni dei brani in inglese e della sua battaglia contro la dittatura militare. Ebbe un successo travolgente, Fela Kuti, il polistrumentista dalla faccia da bambino, arrestato subito dopo per possesso di marijuana e per lo scandalo delle sue 27 giovani mogli, le queen, il gruppo di coriste e ballerine che l’accompagnavano in tour. Liberato dopo qualche giorno, se ne tornò a Londra, dove aveva studiato. E continuò a suonare allo Shrine di Lagos e poi da Berlino a New York e a dare forma alla sua utopia collettivista, la Kalakuta Republic, distrutta dalla violenza dei generali golpisti.
SUPEREROE africano, Fela Kuti è morto ad agosto 1997, sedici mesi dopo è nato Victor James Osimhen, attualmente uno dei calciatori più forti del continente nero, sulla scia di Eusebio e Weah, la punta di diamante del collettivo azzurro che ha incantato mezzo mondo, da Buenos Aires a Sidney. Da allora la comunità nigeriana, in Italia, è cresciuta fino a raggiungere quasi 130mila persone, secondo gli ultimi dati del Ministero dell’Interno, ed in particolare Castelvolturno e zone limitrofe ospitano almeno 20mila nativi dello stato più popoloso del continente. Proprio in quel territorio c’è il quartier generale del Napoli, la squadra che ha comprato il centravanti nero coi capelli tinti di biondo dal Lille nel 2020 per 75 milioni di euro, il più costoso acquisto recente della formazione partenopea. «Sono uno di voi», ha detto fin dal primo giorno questo ragazzo magro e alto dalle gambe di fenicottero e dallo scatto prodigioso, frequentando la comunità nigeriana del Vasto, zona vicino alla Stazione Centrale, con numerosi take away dove recupera il suo piatto preferito: semola con carne, riso e patate. Da subito Osimhen aveva dimostrato da che parte stava, festeggiando uno dei suoi primi gol (contro l’Atalanta, ottobre 2020) col pugno chiuso e mostrando una t-shirt bianca con la scritta «End police brutality in Nigeria», una presa di posizione contro le squadre speciali responsabili di molti abusi, torture e violenze.
PROVENIENTE da Olusosun, quartiere periferico a nord di Lagos, nato il 29 dicembre 1998, in una famiglia numerosa e povera, ultimo di sei fratelli, Victor ha perso la madre da bambino e ha dovuto subito arrangiarsi con tutti i lavoretti disponibili, vendendo acqua nelle strade trafficate o falciando l’erba dei vicini, «la mia lotta quotidiana era per sopravvivere» confesserà in tv, con pochi momenti di felicità giocando a pallone nella scuola elementare e in strada. Ha dichiarato di ispirarsi a Didier Drogba e di esser cresciuto guardandolo giocare, prendendolo come modello dal lato calcistico ma anche dal punto di vista umano. Osimhen, nella lingua parlata nel sud del paese, significa «Dio è buono». Le sue notevoli qualità tecniche sono state notate durante la World Cup Under-17 del 2015, dove ha segnato 10 gol in 7 partite, stabilendo il record di numero di reti segnate nel singolo torneo e vincendo il titolo mondiale. Acquistato subito dal Wolfsburg, giocò solo 16 partite da titolare nella Bundesliga senza realizzare nemmeno un gol. Prestato in Belgio al Charleroi (20 reti in 36 partite) e poi passato al Lille nell’estate 2019 facendo 18 gol in 38 partite e destando l’interesse di molti club europei.
Anche gli inizi con la maglia azzurra del Napoli sono stati piuttosto complicati tanto da venire soprannominato Pasquale Passaguai, uno scalognato e popolare personaggio delle commedie di Petito. Il primo anno resta fuori due mesi per un infortunio alla spalla poi va in vacanza in Nigeria e prende il Covid. Il secondo anno, peggio, riporta un gravissimo infortunio con fratture multiple al volto in uno scontro di gioco, duellando per un colpo di testa con Skriniar dell’Inter, gli applicheranno placche d’acciaio e viti per una convalescenza di circa 100 giorni. Tornerà indossando una mascherina nera protettiva, simile a quella di Zorro o di Pulcinella, che non toglierà più forse per scaramanzia forse per ricordare l’impatto terribile sostenuto e salvaguardare quel pezzo della faccia (anche l’orbita oculare è stata danneggiata). Osi è una punta centrale molto fisica, marcatore ossessivo in fase di non possesso, molto abile nel gioco aereo, in grado di salire più in alto di tutti sui cross. Il terzo anno, quello attuale, è diventato Victor Victoria, l’implacabile goleador, capocannoniere della serie A e artefice del primato della sua squadra. Quest’anno ha segnato 22 gol in campionato e 5 in Champions League, finora, compreso quello decisivo contro l’Udinese ossia terzo scudetto per il Napoli con cinque settimane d’anticipo. «Col mister Spalletti abbiamo studiato intensamente i movimenti delle difese avversarie, cercando un modo per esaltare le mie caratteristiche. Abbiamo lavorato su come trasformare gli assist dei miei compagni, come attaccare gli spazi - ha detto in un’intervista a France Football - e sfruttare al meglio la mia corsa. E ne è uscito fuori che ho cinque metri di vantaggio sugli altri. Mi ha chiesto di essere ‘dinamite’ e infilarmi in questo spazio per andare dritto in porta o servire un compagno». In qualche modo il centravanti titolare anche in nazionale (15 reti in 23 presenze con la casacca delle Super Aquile) è abbastanza diverso dai tre nigeriani famosi, arrivati in Italia negli anni passati, tutti con la maglia nerazzurra dell’Inter (probabilmente per l’attenzione regionale causata dagli interessi petroliferi della famiglia Moratti) gli attaccanti Nwanko Kanu e Obafemi Martins e il difensore Taribo West. «A Victor devo dargli consigli in continuazione in campo. Lui è come un bambino, correrebbe dietro alla palla dappertutto. Poi è generoso, altruista, leader autentico» sostiene l’allenatore vincente, Luciano Spalletti.
CRISTIANO credente, ogni volta che segna fa con le mani la H, lettera iniziale del nome della figlia, Hailey True, nata a Napoli lo scorso ottobre. E ha un po’ d’innocenza da fanciullo anche lui, proprio come quei ragazzini raccontati da Ben Okri in La via della fame, e naturalmente dal padre della letteratura africana in lingua inglese, Chinua Achebe, col suo recupero della mitologia orale della nazione (ad esempio nel ciclo narrativo Dove batte la pioggia) ma con la denuncia della catastrofe culturale portata in Nigeria prima dal colonialismo e poi dai regimi corrotti.
Il trofeo, lungamente atteso - finalmente festeggiato ‘o quatt ‘e magg, giovedì sera a Udine, nella data storica dei traslochi del viceregno spagnolo - ha scatenato la fantasia dei tifosi, facendo esplodere la Victor-mania. È stata creata una torta Osimhen, pan di spagna rivestito di cioccolato fondente, biscotto sbriciolato e granella di nocciole a simulare i capelli biondi e naturalmente la mascherina col numero 9 (sulla rete si trovano anche il Babà Osimhen, l’uovo di Pasqua Osimhen e la pizza Osimhen col mais come chioma). Naturalmente il fuoriclasse, con la sua capacità di elevazione, di volare in cielo come un supereroe, è il protagonista anche di un cartone animato, nato su Tik Tok e tracimato sui social. Lui sorride e segna, maglia azzurra e pelle scura col ciuffo biondo, vince il campionato, simboleggiato da una coppa che porta oltre le nuvole e la consegna in paradiso a Diego Maradona, un omaggio dovuto e un simbolico affratellamento dei tre scudetti. Ancora più virale il videoclip di Alex Garini con la canzone Osimhen, una parodia in stile gregoriano-medioevale, che impazza dappertutto. «Dicevn' ca' era fa' sol' e limunat / Dicevn' ca' era fa' sol' e limunat/ Osimhen/ Osimhen/ Ha signat, ha signat Osimhen/ Ma c' mo', ma c' mostr'/ Osimhen/ Osimhen /Ma c' mo'/ Ha tirat' a port' n'derr, ma che mostr'/ Si’ fort Osimhen /Osimhen».

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