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Che ne sarà del museo abitato?

GIANSANDRO MERLIITALIA/ROMA

«Ci siamo presi anche un ex salumificio / e dove c’erano salumi ora c’è spazio / aria, beni comuni, vita extraordinaria», cantano gli Assalti Frontali in Profondo Rosso. Il riferimento è al Metropoliz, via Prenestina 913, periferia est della capitale. Da 14 anni al suo interno vivono 200 persone, tra cui oltre 40 minori, e 600 opere d’arte nate con il Maam, Museo dell’altro e dell’altrove.
SU UOMINI E COSE pende una nuova minaccia di sgombero: a metà marzo il tribunale civile di Roma ha condannato lo Stato a versare al proprietario, il gruppo Salini, un risarcimento di sei milioni di euro. A questi vanno aggiunti 58mila euro mensili a decorrere da luglio 2022. Già nel 2018 era stato riconosciuto un indennizzo record di 27,9 milioni per la stessa vicenda. Il motivo è sempre lo stesso: mancato sgombero. La controparte è il ministero dell’Interno che attraverso la prefettura ha dato 60 giorni alla giunta capitolina per trovare una soluzione. La data limite per un accordo tra proprietà e comune dovrebbe essere l’11 maggio. Dopo potrebbe partire la procedura per l’intervento delle forze dell’ordine.
«C’È UN MECCANISMO perverso: i proprietari fanno rendita sui mancati sgomberi. L’area del Metropoliz è stata comprata nel 2003 per 6,85 milioni di euro. Molto meno degli indennizzi ottenuti», denuncia Margherita Graziali, attivista dei Blocchi precari metropolitani. È successo anche in altri casi, come le occupazioni abitative di Torre Vecchia, viale del Caravaggio e viale delle Province. «Non è possibile che i costruttori dettino l’agenda alla politica. Questa storia non riguarda soltanto gli abitanti del Metropoliz, ma l’idea di città che vogliamo costruire e abitare», continua Grazioli.
PER L’ASSESSORE al patrimonio Tobia Zevi quella che arriva dalla periferia est è una sfida più grande del solito: mentre in altre situazioni è stato sufficiente garantire il passaggio da casa a casa, evitando di buttare la gente per strada, stavolta oltre al tema abitativo si pone quello culturale. «Dal nostro arrivo abbiamo sempre lavorato con due grandi obiettivi: ripristinare la legalità e tutelare le persone fragili. Per questo motivo, con il sindaco Gualtieri, possiamo dire con orgoglio che nessuna persona fragile in occupazione è finita per strada e nessun nuovo palazzo è stato occupato illegalmente», dice Zevi. L’esperimento di via Prenestina è unico nel suo genere, tanto che gli attivisti avevano chiesto al ministero della Cultura di avanzare la candidatura per renderlo patrimonio dell’Unesco. Ma il dicastero, allora guidato da Dario Franceschini (Pd), rispose di No con una lettera: un museo non può essere considerato un bene immateriale.
«IL MAAM RAPPRESENTA una realtà eccezionale di questa città, perciò insieme a prefettura di Roma e Regione Lazio, stiamo cercando soluzioni alternative per tutelare i nuclei in difficoltà e conservare il patrimonio culturale creato al suo interno. In quest’ottica, il Piano Casa traccia la linea delle nostre politiche abitative, perché individua misure innovative e organiche come la rigenerazione di immobili e spazi lasciati per troppo tempo vuoti o fuori dai processi di legalità», continua l’assessore. Metropoliz e Maam sono inseriti, insieme a Spin Time, in una delibera che nei prossimi giorni arriverà in giunta. L’intenzione dell’amministrazione è «valutare l’opportunità» di acquistare i palazzi. Filtra ottimismo sulla possibilità di trovare una soluzione.
IN UNA VITA PRECEDENTE il grande palazzo di via Prenestina produceva insaccati ed era della Fiorucci. Nel 2003 viene comprato dalla Ca.Sa.Srl, società del gruppo Salini Impregilo, del costruttore Pietro Salini. La nuova vita, però, non inizia con il cambio di proprietà, ma con l’occupazione e la rottura di una legalità troppe volte a misura della rendita immobiliare. Il 27 marzo 2009 attivisti dei movimenti per il diritto all’abitare e persone senza casa scavalcano muri e cancelli e trasformano un non luogo abbandonato in appartamenti per 40 famiglie.
UN GIORNO, attraverso una passeggiata urbana organizzata dal collettivo Stalker, Giorgio De Finis - antropologo e artista, già direttore del Macro e oggi a capo del Museo delle periferie - scopre il palazzo occupato. Ci ritorna con un progetto fotografico e poi tra il 2012 e il 2013 con l’idea di realizzare un museo abitato. «Trovare un contatto tra vita e arte è il sogno delle avanguardie artistiche. Oggi chi va al Metropoliz per vedere i poveri scopre opere d’arte di altissimo valore, realizzate da personaggi importanti come Michelangelo Pistoletto, Pablo Echaurren o Gian Maria Tosatti, che ha rappresentato l’Italia alla Biennale. Chi cerca il Maam trova panni stesi, bambini che giocano, odore di cibo», dice De Finis. Sulla torre dell’occupazione Echaurren ha realizzato un gigantesco telescopio che è il simbolo del progetto: guardare la luna, cercare un altro mondo possibile mentre quello in cui viviamo diventa inabitabile. «Metropoliz e Maam realizzano uno spiazzamento che fa perdere i punti di riferimento e spinge a pensare che le cose non devono essere per forza come sono. Per esempio le città, dove gli esseri umani stanno diventando oggetti da rimuovere da strade, piazze e perfino case».
GINA BAUTISTA ha 20 anni e in quel palazzo ci vive dal 2009, quando ne aveva soltanto sei. «Da bambina era bellissimo vedere gli artisti, soprattutto fotografi, in azione - racconta - Era come uno spettacolo, di quelli che in genere hanno un biglietto di ingresso, ma avveniva gratis, a casa tua. Negli anni seguenti ho conosciuto persone provenienti da tutto il mondo semplicemente facendo i turni all’ingresso: arrivavano a Roma e venivano a scoprire il Metropoliz». Bautista oggi studia ingegneria e nell’occupazione vive con la madre e due sorelle: «Siamo sempre stati in pericolo. La parola sgombero ha continuamente aleggiato sulle nostre teste. Stavolta hanno detto che abbiamo 60 giorni per andarcene: sono anche 60 giorni per combattere». Si ricomincia oggi con un corteo cittadino che partirà alle 17 da piazza Esquilino dietro lo slogan: «Metropoliz not for sale. La città è di chi la abita».

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