INTERNAZIONALE

Il papa in Ungheria chiede «sforzi creativi di pace»

L’INCONTRO CON ORBÁN
LUCA KOCCIvaticano/ungheria

In una politica internazionale «regredita a una sorta di infantilismo bellico», trovano sempre più spazio e ascolto i solisti della guerra». Allora «mi chiedo, anche pensando alla martoriata Ucraina: dove sono gli sforzi creativi di pace?».
La domanda retorica di papa Francesco è risuonata a palazzo Sándor di Budapest – residenza ufficiale del presidente della repubblica –, dove ieri, primo giorno del viaggio apostolico di Bergoglio in Ungheria, si è svolto l’incontro con le autorità civili del Paese, con il capo dello Stato Katalin Novák e il primo ministro Victor Orbán seduti in prima fila ad ascoltare il pontefice.
È LA SECONDA VOLTA di papa Francesco in Ungheria, dopo il congresso eucaristico del settembre 2021. Ma «questa visita è programmata da tempo, quindi non è motivata principalmente dalla situazione della guerra in Ucraina», ha precisato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, aggiungendo però che «non verrà trascurata nessuna opportunità che si possa presentare per promuovere la pace». Del resto l’Ungheria di Orbán ha solidi rapporti con la Russia di Putin, e a Budapest dallo scorso giugno risiede anche il metropolita Hilarion, ex numero due del Patriarcato ortodosso di Mosca, attestato su posizioni pacifiste rispetto al patriarca Kirill (e proprio per questo spedito in Ungheria). Quindi il discorso sulla pace di Francesco – che prima di partire aveva ricevuto in Vaticano il primo ministro ucraino Denys Shmyhal – assume un peso specifico significativo.
«La passione per la politica comunitaria e per la multilateralità sembra un bel ricordo del passato: pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di pace», «si marcano le zone, si segnano le differenze, tornano a ruggire i nazionalismi», «a livello internazionale pare persino che la politica abbia come effetto quello di infiammare gli animi anziché di risolvere i problemi, dimentica della maturità raggiunta dopo gli orrori della guerra», ha detto Bergoglio. Che ha richiamato l’Europa a riscoprire la propria vocazione originaria («unire i distanti», «accogliere al suo interno i popoli», «non lasciare nessuno per sempre nemico») e a operare per «ricucire l’unità», non per «allargare gli strappi».
IL RESTO DEL DISCORSO del papa, pur con qualche concessione – peraltro non inedita – al regime nazional-cattolico ungherese sui pericoli della «cultura gender» e sull’aborto (non una «conquista» ma «una tragica sconfitta»), è sembrato volto a porre dei paletti alle politiche ultranazionaliste del premier Orbán (calvinista): forti richiami a non perdere i contatti con l’Europa e a non diventare «preda di populismi autoreferenziali», difesa della «ricchezza della propria «identità» ma «necessità» di politiche di apertura agli altri», a cominciare dall’accoglienza dei migranti, «fratelli e sorelle disperati che fuggono da conflitti, povertà e cambiamenti climatici». Un tema però «da affrontare insieme»: è urgente che l’Europa lavori «a vie sicure e legali, a meccanismi condivisi di fronte a una sfida epocale che non si potrà arginare respingendo, ma va accolta per preparare un futuro che, se non sarà insieme, non sarà».
In ogni caso, ha concluso il pontefice, «i valori cristiani non possono essere testimoniati attraverso rigidità e chiusure».

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