INTERNAZIONALE

Emergency resta aperta per guerra, «ma il peggio deve venire»

INTERVISTA AL CARDIOCHIRURGO FRANCO MASINI, CAPOMISSIONE A KHARTOUM
MARCO BOCCITTOsudan/Khartoum

Abbiamo raggiunto al telefono a Khartoum Franco Masini, il medico a capo della missione di Emergency che ha tenuto aperto nella capitale sudanese il Salam Center, l’unico ospedale di tutta l’Africa che offre gratuitamente assistenza cardiochirurgica di alto livello. In questi giorni svolge lo stesso lavoro che fino al 2016 era di Gino Strada, solo che è costretto a farlo in una situazione assai precaria. «Sì, Gino qui aveva la sua base - dice - dove ha operato fino all’ultimo. Ma la sua abilità nel muoversi in queste situazioni critiche, anche per proteggere il personale e i pazienti, non è replicabile. Però mi fido degli standard di sicurezza di Emergency, anche per questo ho scelto di restare».
Con tanti ospedali fuori uso e scontri così violenti avrete avuto un grande afflusso di feriti...
In verità no, finora non ci hanno portato feriti di guerra.
E come se lo spiega, si parla di migliaia di persone.
Siamo molto lontani dal centro e dalle zone interessate dagli scontri. A Soba abbiamo sentito esplosioni molto forti solo martedì, giorno in teoria di tregua, quando l’aviazione ha cercato di ripulire dai miliziani delle Rsf un ponte sul Nilo qui vicino. Continuiamo a svolgere la nostra attività, solo che la settimana scorsa abbiamo dovuto smettere di fare operazioni, perché nella malaugurata ipotesi che qualcuno entri con cattive intenzioni, muovere dei pazienti ventilati in terapia intensiva sarebbe troppo rischioso. Poi abbiamo dimesso tutti quelli che potevano essere dimessi e che potevano tornare a casa senza rischi: in molti quartieri in cui non è possibile arrivare. Degli 80 pazienti che c’erano all’inizio della crisi ne sono rimasti cinque gravi in terapia intensiva e trenta nella guest house provenienti da Somalia, Etiopia, Burundi, Uganda e altri luoghi, che non possono rientrare. Oltre al Sudan serviamo una trentina di paesi diversi, perché il nostro è l’unico centro nel suo genere. Inoltre prima avevamo 400 persone che venivano ogni giorno per le terapie anti-coagulanti. Ora si sono ridotte a 150.
Al lavoro con lei però sono rimasti in tanti, 38 italiani si è detto.
Beh nel frattempo la situazione è cambiata. Emergency ha quattro strutture attive in Sudan: oltre al Salam Centre, c’è un ambulatorio pediatrico in un campo profughi disastrato vicino Khartoum che ospita un milione di persone, a Maio, ma abbiamo dovuto chiuderlo subito perché non era più sicuro né raggiungibile; poi si sono altri due ospedali pediatrici, a Port Sudan sul Mar Rosso e a Nyala. nel Darfur. A pieno regime è uno staff importante, 50 internazionali e circa 550 locali. il problema è stato fin dall'inizio l'organizzazione del personale locale, una buona parte non poteva tornare a casa e così abbiamo creato una specie di accampamento dentro l'ospedale, con materassi dappertutto. Molti altri era impossibile andarli a prendere. Però sono loro che ci stanno dando un grande supporto e ci hanno chiesto di non chiudere, perché l'ospedale è fondamentale. Solo ieri abbiamo avuto tre casi che se non ci fossimo stati sarebbero finiti male. Ma visto che abbiamo ridotto il numero dei pazienti e che permangono rischi nello stare qui, ieri abbiamo lasciato la scelta di restare o partire ai singoli. Siamo rimasti in sette qui a Khartoum, tutti italiani, più una decina di internazionali tra Port Sudan e Nyala. Gli altri ora sono in viaggio verso la Germania.
A Nyala i combattimenti sono stati particolarmente violenti.
Sono arrivati fin davanti la struttura, ma è risaputo che noi curiamo tutti senza distinzioni, quindi speriamo sempre di avere un occhio di riguardo. A Nyala il governatore locale si è adoperato per rifornirci di benzina e i gruppi combattenti non hanno infierito sull’ospedale.
Avete ancora canali aperti con le istituzioni centrali? E quali, visto che il caos regna sovrano.
Purtroppo tutti i canali di comunicazione sono interrotti, avevamo contatti con il governo, il ministro della Sanità, ci servivano anche dei lasciapassare ma non ha risposto più nessuno.
Cosa vi aspettate ora?
Il timore riguarda le bande armate fuori controllo in cerca di soldi e bottini. Dal nostro responsabile della sicurezza sappiamo di irruzioni e razzie in alcune strutture del centro. È un corollario tipico in questi frangenti. E il disastro come sempre arriverà dopo, se e quando questa roba finirà: quelli che non hanno fatto i controlli né la terapia, quelli che non hanno potuto raggiungerci... Riorganizzare il lavoro sarà dura, peggio che dopo la pandemia. È una guerra questa.

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