COMMENTO

Joe Biden, un bis in mancanza di meglio

Stati uniti
GUIDO MOLTEDOusa

C’è una vaga analogia con la fase finale dell’Unione sovietica, quando al Cremlino s’alternarono Breznev, e dopo il suo lungo regno, Andropov e Cernenko. Poi arrivò, troppo tardi, Gorbaciov. Negli Usa l’equivalente di Gorby c’è già stato: Barack Obama.
E ora un presidente che, in altri tempi, forse non sarebbe giunto neppure al primo mandato si ricandida - l’ha annunciato martedì scorso - per il bis, con la prospettiva, se eletto, di completare il quadriennio presidenziale a 86 anni, avendo come probabile avversario un ex-presidente di 76 anni, ottantenne alla fine dell’eventuale mandato. Va aggiunto che tra i principali sostenitori della candidatura di Joe Biden c’è Bernie Sanders, 81 anni, che con il suo inconfondibile accento di Brooklyn ha fatto sapere che non correrà ma appoggerà il suo ex-rivale, portando probabilmente con sé il grosso della sinistra democratica.
POSSIBILE CHE il Partito democratico non riesca a proporre un’alternativa alla vecchia guardia, come pure riuscì a fare quando a Hillary Clinton volle e seppe anteporre un quasi sconosciuto neo-senatore dell’Illinois dal «nome buffo»? Difficile trovare risposta, se non guardando nel campo avverso, dove la presenza di un personaggio come Donald Trump condiziona non solo il Partito repubblicano, e ne determina le dinamiche, ma anche quello democratico.
SE SARÀ ANCORA Trump il candidato del Grand Old Party, come appare probabile, se non scontato, il meglio attrezzato a competere con lui e a sconfiggerlo, per la seconda volta, è il vecchio Joe, a dispetto dell’età, ma anche a dispetto di diversi indicatori riguardanti la sua popolarità, la sua performance e la sua idoneità a un nuovo mandato, che sono complessivamente negativi. Come nota lo stratega elettorale Jim Messina, interpellato dal New York Times, «la mera presenza di Trump nelle primarie repubblicane consente ai democratici di fare della campagna 2024 una scelta tra due partiti e non un referendum sul presidente/candidato», come normalmente avviene nelle presidenziali che vedono il presidente uscente ricandidarsi. Su questo ragionamento si trovano d’accordo e allineati tutti i massimi esponenti democratici, ma perfino una parte consistente della base militante del partito delusa da Biden e ansiosa di un ricambio di generazionale. Il Partito democratico e Biden stesso si trovano, insomma, costretti dalle circostanze a scommettere sul suo secondo mandato. Peraltro, una sua mancata ricandidatura lo ridurrebbe fatalmente e immediatamente alla condizione di anatra zoppa negli ultimi due anni della sua presidenza, creando confusione e facendo volare i coltelli nelle primarie democratiche, a tutto vantaggio del Partito repubblicano, e rendendo difficile l’impresa di un eventuale altro candidato democratico alla presidenza nel 2024. In più il Partito repubblicano si troverebbe anche più libero di riaprire i giochi al suo interno, senza dover necessariamente subire il pesante e ingombrante protagonismo di Trump.
IL PERCORSO DEL BIS di Biden è anche determinato dall’inadeguatezza della sua numero due, Kamala Harris. Avesse dimostrato una statura politica da co-presidente effettivo, com’era negli auspici quando fu scelta come vicepresidente, un passaggio del testimone sarebbe stato possibile, per quanto comunque complicato. La staffetta non solo non è pensabile ora, ma l’inadeguatezza di Kamala è anche un’ipoteca politica negativa sulla campagna per la rielezione. Evidente che l’attenzione su di lei sarà ora ancora maggiore. Il prossimo ticket Biden-Harris ha il messaggio evidente di una probabile uscita di scena di Biden e di un’ascesa di Kamala in coincidenza col midterm: quello che sarebbe stato auspicabile ora e che non è potuto avvenire.
La campagna elettorale che si apre avrà come unico e non trascurabile vantaggio per Biden la possibilità di concentrare tutte le risorse contro il nemico esterno, lo sfidante repubblicano, essendogli risparmiata la massacrante competizione delle primarie di partito, destinate a diventare quasi puramente virtuali. Mentre in casa repubblicana, la candidatura di Trump dovrà comunque misurarsi con quelle di altri aspiranti, una competizione che probabilmente vincerà - considerando i suoi potenziali sfidanti - ma dalla quale uscirà con qualche segno sulla pelle, a vantaggio di Biden.
E QUEL RICAMBIO generazionale che oggi sembra impossibile potrebbe essere favorito da un’affermazione di Biden tale da trascinare con sé i candidati democratici che correranno nel 2024 per i due rami del Congresso e per tutte le altre cariche in palio nell’Election Day. In quest’ottica, un bis dello scontro Biden-Trump dovrebbe avvantaggiare il primo, com’è avvenuto nelle ultime elezioni di medio termine, che hanno visto andare a fondo i candidati repubblicani sostenuti dall’ex-presidente e una sostanziale tenuta del Partito democratico, grazie anche a un impegno personale di Biden a sostegno dei candidati dem.
L’annuncio della nuova corsa di Biden, dopo quello di Trump dello scorso novembre, mette dunque in luce l’enorme portata della partita che si apre a Washington e in cui si staglia la vera posta in gioco: l’America d’oggi è come l’Urss della sua fine o è in grado, ancora, nonostante tutto, nonostante l’evidente crisi attuale, di confermare il suo «eccezionalismo»?

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