INTERNAZIONALE

Tregua a intermittenza. Monta l’emergenza profughi

CRISI IN SUDAN
MICHELE GIORGIOsudan/Khartoum

È tregua in Sudan ad intermittenza. Non è mai stata completa la cessazione – peraltro solo per 72 ore - di combattimenti e sparatorie annunciata lunedì sera dopo una intensa attività di mediazione svolta dagli Stati uniti e, in misura minore, dall’Arabia saudita. I miliziani delle Rsf di Mohammed Hamdan Dagalo e l’esercito agli ordini del generale Abdel Fattah al Burhan hanno continuato spararsi addosso anche ieri, solo più sporadicamente. L’intensità più bassa dello scambio di colpi ha comunque consentito alla popolazione di Khartoum di poter lasciare, sia pure con grande cautela, le abitazioni in cui è rintanata da dieci giorni, per andare alla ricerca di cibo e acqua potabile. È un’impresa reperire generi di prima necessità nella capitale, rimasta senza rifornimenti dalle campagne dal 15 aprile. Lo raccontano ai media africani e arabi gli abitanti meno timorosi di altri nell’avventurarsi in strada.
IERI A GINEVRA, Nima Saeed Abid, rappresentante dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in Sudan, ha aggiornato a 459 morti e 4.072 feriti il bilancio di giorni di violenti scontri a fuoco che, in apparenza, hanno lasciato nelle mani dell’esercito quasi tutta Khartoum. Le Rsf invece avrebbero il controllo di parte della periferia della capitale e di diverse province del paese. Saeed Abid ha anche denunciato un «alto pericolo di rischio biologico» dopo che una delle parti in lotta ha occupato un laboratorio, senza pero fornire ulteriori particolari.
FINO A 270MILA persone, dice l’Onu, potrebbero fuggire dal Sudan verso il Sud Sudan e il Ciad. Le molte migliaia di persone già ammassate lungo i confini con quei paesi cominciano a rappresentare una nuova emergenza profughi. Continua anche l’esodo degli stranieri. Gli occidentali in gran parte sono fuori dal Sudan, più complessa è la situazione dei cittadini di quei paesi che non sono in grado di organizzare, assieme ai militari, una evacuazione rapida e con gli aerei - la Germania ieri ha assunto dalla Francia il coordinamento dei voli dal Sudan - come hanno fatto gli Usa e vari Stati europei. Si tratta di indiani, pakistani, filippini, africani, arabi e anche di un paio di centinaia di palestinesi, in gran parte studenti di Gaza a Khartoum. Per loro la fuga dal paese è via terra verso l’Egitto o a bordo di traghetti che vanno in Arabia saudita.
SONO SEMPRE al loro posto 46 operatori internazionali di Emergency negli ospedali di Khartoum, Nyala e Port Sudan. «Sono giorni estremamente difficili e di grande tensione a Khartoum ma abbiamo deciso di rimanere qui per gli 81 pazienti in cura nel nostro ospedale. Non possiamo abbandonarli perché rischierebbero la vita», ha spiegato Franco Masini del Centro Salam di cardiochirurgia della ong italiana a Khartoum.
Mentre i civili sopportano il peso maggiore dei problemi, El Burhan e Dagalo affermano ciascuno di combattere per salvare il Sudan dall’altro e di tentare di insediare un governo civile. Ma il capo dell’esercito è accusato di combattere per gli islamisti e per ciò che resta del regime del deposto presidente Omar Al Bashir. Il leader delle Rsf invece agirebbe nell’interesse di potenze straniere. Di sicuro nessuno dei due ha rispetto per i diritti umani e la democrazia e dietro di loro ci sono potenze straniere. Inoltre sono insistenti le voci, specie dopo un’inchiesta della Cnn, che vogliono la compagnia di mercenari russi Wagner stretta alleata di Dagalo nello scontro con El Burhan. I rischi di una destabilizzazione regionale, quindi, sono reali e le conseguenze del conflitto già si fanno sentire. Il Sud Sudan, devastato per anni da lotte intestine che hanno fatto morti, feriti e centinaia di migliaia di profughi e sfollati interni, si preoccupa per le entrate petrolifere che rappresentano circa oltre il 90% della sua valuta pregiata. Il Sudan è fondamentale per queste esportazioni con il suo oleodotto che dal sud arriva fino al Mar Rosso.
IL CIAD invece teme l’arrivo in massa dei profughi attraverso le sue frontiere facilmente penetrabili. «Ospitiamo già 500mila rifugiati. Facciamo appello ai partner internazionali affinché ci sostengano in questa crisi umanitaria all’orizzonte», ripete il ministro ciadiano delle comunicazioni Aziz Mahamat Saleh convinto che la guerra in Sudan avrà un impatto sull’intera regione del Sahel.
L’Egitto ha una lunga e antica storia in comune con il Sudan che in epoca faraonica si chiamava Nubia. Oggi molti membri dell’élite sudanese hanno legami con l’Egitto, dove hanno studiato, e gli ufficiali dell’esercito in molti casi sono stati addestrati al Cairo. Per l’Egitto è fondamentale avere Khartoum dalla sua parte nella difficile disputa con l’Etiopia sulle acque del Nilo. E vedere il suo alleato sprofondare nella guerra civile toglie il sonno ad Abdel Fattah el Sisi e il suo entourage. Trema anche Israele che vede in pericolo la permanenza del Sudan negli Accordi di normalizzazione del 2020 (detti di Abramo) e la firma del trattato di pace tra i due paesi prevista nei prossimi mesi. Tel Aviv mantiene contatti con El Burhan e Dagalo e si propone come sede di eventuali negoziati.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it