INTERNAZIONALE

«Forse ci sarà una tregua, ma dopo?». In Sudan molti si aspettano il peggio

LA GUERRA DEI GENERALI/INTERVISTA
MICHELE GIORGIOsudan/Khartoum

Resta fluida la situazione sul terreno ma l’Esercito regolare sudanese, agli ordini del generale Abdel Fattah el Burhan, avrebbe conquistato una della base militare nel nord-ovest del paese, considerata un importante punto di rifornimento della milizia avversaria, le Forze di supporto rapido (Rsf) di Mohamed Hamdan Dagalo.
El Burhan sente di essere in vantaggio e dopo aver incassato l’appoggio dei Fratelli musulmani sudanesi, ora chiede la resa di Dagalo. Quest’ultimo starebbe ricevendo aiuti dall’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) del generale Khalifa Haftar. Il bilancio di civili, soldati e miliziani uccisi è salito ad oltre 200, quasi 300 o addirittura 600 a seconda delle fonti.
Per conoscere meglio la situazione sul terreno e le condizioni della popolazione sudanese abbiamo raggiunto al telefono a Khartoum, Stefano Rebora, presidente di Music for Peace, una associazione umanitaria genovese presente dal 2018 in Sudan dove assiste mille famiglie e partecipa al potenziamento degli ospedali.
Cosa succede in queste ore a Khartoum?
Mi trovo con mia moglie e mio figlio ad Al Amarat, non lontano dall’aeroporto, che assieme a Riyadh, Khartoum 2 e Nile Street, è una delle aree della capitale dove si combatte più duramente. In queste zone ci sono i ministeri e altri edifici governativi oltre alle ambasciate, alle sedi dell’Onu e gli uffici delle Ong. L’aeroporto è uno degli obiettivi principali degli scontri. Il suo controllo, come di altri aeroporti, da parte delle truppe regolari garantisce all’Esercito una superiorità aerea decisiva per respingere le Forze di supporto rapido. Ma la situazione è fluida. I comandi delle Rsf sono convinti che senza l’aviazione i soldati di Al Burhan non resisteranno agli loro attacchi. Per questo vogliono gli aeroporti a ogni costo.
I combattimenti sembrano concentrarsi in determinate ore.
Di solito vanno avanti dalle 4 di notte fino a mattina inoltrata, poi calano d’intensità fino all’eftar (la cena che al tramonto rompe il digiuno nel mese del Ramadan, ndr), quindi c’è una ripresa degli scontri.
Cosa accade nel resto del paese?
Da quello che ci viene riferito dalla nostra rete di contatti, in tutto il paese la situazione ora è relativamente calma fatta eccezione per l’area di Dongola nel nord, verso il confine egiziano, di Al Farshir, Nyala e il Darfur dove starebbero confluendo truppe di rinforzo per le Rsf, tra cui anche i janjaweed (la milizia che ha legato il suo nome a massacri, stupri e violenze nel Darfur, ndr) e tribù dal Ciad. Il rischio è che entrambe le parti, con la fine del Ramadan e l’inizio delle festività islamiche, proveranno a guadagnare tempo. Forse nei prossimi giorni vedremo una tregua. Ma dopo cosa succederà? Tanti si aspettano il peggio.
Come fa a sopravvivere la popolazione di Khartoum con la città paralizzata dai combattimenti.
Gran parte dei sudanesi sono poveri, vivono di lavori occasionali e dopo una settimana senza guadagnare nulla tante famiglie sono allo stremo. A ciò va aggiunto che è sempre più difficile reperire generi di prima necessità e si temono saccheggi e razzie da parte di persone affamate, alla ricerca di cibo. Inoltre, la corrente e l’acqua potabile scarseggiano o mancano del tutto in alcune aree. Qui ad Al Amarat, ad esempio, abbiamo un’ora di elettricità al mattino e una alla sera. Per procurarsi l’acqua i sudanesi sono costretti a correre seri rischi e sappiamo che anche uno straniero, un cittadino belga, è stato ferito alla schiena mentre trasportava dell’acqua. Sono stati distribuiti volantini che indicano i punti dove è possibile trovare l’acqua potabile ma raggiungerli è pericoloso. Si spara ovunque, è stata attaccata la sede dell’ambasciata dell’Ue, sappiamo di colpi caduti nei pressi della residenza dell’ambasciatore italiano. Non sono attacchi mirati ma proiettili vaganti e chiunque può farne le spese.
Ha notizie degli altri italiani che lavorano e vivono in Sudan?
Ci teniamo in contatto e ci scambiamo informazioni attraverso una chat. Oltre a noi cinque di Music for Peace, a Khartoum ci sono i colleghi di altre Ong come Ovci, Coopi, Emergency, Aispo e il personale dell’Aics (l’Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo), il nostro Ambasciatore e tutto lo staff dell’ambasciata. Ma non dobbiamo pensare solo a noi italiani in queste ore, c’è un'intera popolazione ridotta alla fame, privata della libertà e sottoposta a un percorso non scelto di antidemocrazia. Non dimentichiamoci che il Sudan è l'antiporta d'Europa, è il paese che accoglie i profughi di tutti i paesi che lo circondano.

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