INTERNAZIONALE

Tregua armata nel Sudan dei generali, parte seconda

Dopo una giornata di violenti scontri intorno al palazzo presidenziale il nuovo annuncio
MARCO BOCCITTOSUDAN/KHARTOUM

Unica certezza, nella confusione che regna da sabato in Sudan, è che nelle 24 ore di tregua annunciata per curare i feriti e dare una chance di fuga ai civili intrappolati nelle zone più calde, altre decine di vittime si sono aggiunte a bilanci ufficiali che parlano ormai di circa 300 morti e 3 mila feriti. Con tanta incertezza sulle vittime non ancora censite e - da parte del Comitato centrale dei medici sudanesi (Ccsd) che in questi giorni concitati ha dato conto degli ospedali colpiti e a corto di tutto, senza farmaci e con i generatori a secco - l’ansia per i feriti ancora privi di soccorso per via dei combattimenti in corso.
È GUERRA INTESTINA MA VERA, a Khartoum e nei principali centri del paese, tra l’esercito fedele al generale Abdel Fattah al-Burhan e le Forze di supporto rapido (Rsf) agli ordini del generale Mohamed Hamdan Dagalo detto "Hemeti". E tale resta anche dopo l’annuncio di una nuova tregua, teoricamente scattata alle 18,00 di ieri, accettata forse con un po’ più di convinzione, dopo le rinnovate pressioni della Casa bianca e altri attori internazionali, da entrambe le parti.
I risultati sono tutti da verificare, perché in serata ancora si combatteva intorno al palazzo presidenziale, epicentro di pesanti e ininterrotti scontri fin dal primo giorno, e in altre zone di Khartoum. Dove gran parte dei residenti restano privi di tutto, sicurezza, cibo, accesso a internet, senza acqua potabile da giorni. Ieri c’erano 40 gradi, con tendenza all’aumento. Se le due fazioni non smettono di affrontarsi nelle strade con armi leggere e pesanti, con impiego di tank e aviazione, anche chi avrebbe i mezzi per farlo esita a lasciare la città.
Sull’annuncio del primo cessate il fuoco, martedì, avevano altrettanto pesato le pressioni esterne, dagli Usa alla Russia passando per Onu e Unione africana. Ma al-Burhan aveva continuato ad accusare Hemeti di voler sfruttare la tregua per completare la mobilitazione dei suoi uomini nelle varie regioni e il ritorno di quelli dislocati fuori dei confini nazionali, con l’idea di convergere meglio sulla capitale per la spallata finale.
Le Rsf per contro denunciano bombardamenti indiscriminati e il dispiegamento di brigate islamiste organizzate dal Consiglio sovrano presieduto da al-Burhan. Un dettaglio a sostegno della tesi secondo cui con al-Burhan il Paese scivolerebbe nel radicalismo islamico, tesi che Hemeti cerca di spendere anche per accreditarsi a livello internazionale.
IERI PESANTI SCONTRI hanno interessato anche la zona di Jabra, a ovest della capitale, dove il generale già a capo dei Janjaweed risiede con la sua famiglia. Da sabato, dall’inizio dei combattimenti ha fatto perdere le sue tracce, parlando solo attraverso il telefono e i social.
Intensa e senza esclusione di colpi resta anche la guerra parallela della comunicazione, con gli hacker di Hemeti accusato di attaccare centinaia di account Twitter per moltiplicare la diffusione dei suoi messaggi. Come quello in cui dice di spaccature nell’esercito regolare, con relativo «gran numero» di defezioni che vanno a ingrossare le sue file.
LE RSF HANNO DOVUTO intanto rassicurare Il Cairo sulla sorte dei militari egiziani fermati nella base militare di Merowe, dove erano dislocati nell’ambito di un programma di cooperazione, quando questa è stata attaccata e ha cambiato padrone. I 27 tra ufficiali e tecnici stanno bene e saranno presto rimpatriati, «compatibilmente con la situazione». Al-Sisi da parte sua ha assicurato che non si schiereranno.

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