VISIONI

Il lato scivoloso delle feste per il dipartito

Habemus Corpus
MARIANGELA MIANITIITALIA

L’avevo già scritto, ma tocca ripetersi, con una postilla. I funerali servono più ai vivi che ai morti. Le feste postume, tendenza sempre più in voga, pure. Sei morto da poco e manchi tanto a parenti e amici? Quasi di sicuro qualcuno penserà di organizzare un raduno per il giorno in cui avresti svoltato il genetliaco.
Festeggiare qualcuno che non c’è più chiama in causa il complesso percorso del lutto che, appunto, serve più ai vivi che ai morti. Mi viene in mente una festa di queste, dedicata a una gran donna, alla quale partecipava Nanni Balestrini. Tutti stavano radunati a guardare filmini e foto di repertorio, ascoltare ricordi e intanto abbracciarsi, chiacchierare, bere, mangiare. Nanni se ne stava seduto discosto, da solo, silente, a guardare l’orizzonte pensando. Gli dissi: «Beh, questa festa è bellissima». Lui, alzando un sopracciglio e continuando a non sorridere, rispose: «Sì, ma la festeggiata non la può vedere. È morta». Chissà che cosa avrebbe detto vedendo il partecipatissimo raduno con ricordi e letture che gli amici organizzarono a Milano il 2 luglio 2019, giorno in cui avrebbe compiuto 84 anni se non se ne fosse andato il 19 maggio precedente.

Le persone che sono state importanti per noi e per la collettività, quando mancano, mancano tanto, a volte in modo lacerante, acuminato. Ci sono momenti in cui pensi di alzare il telefono e chiamarle e poi ti accorgi che non puoi, perché non ci sono più, e ti manca il dialogare con loro, la loro intelligenza, il confronto, ma così è, e ognuno di noi se ne fa una ragione a modo proprio. Io, per esempio, non riesco a cancellare dalla rubrica i loro numeri perché toglierli da lì mi sembrerebbe di cancellarli del tutto. Tenere il loro nome lì dentro, per me, è come un simbolo.
Le feste per il dipartito vanno oltre perché non sono più un gesto personale, intimo, ma un rito collettivo che, se da una parte consola i vivi facendoli ritrovare, dall’altra ha un coté scivolosissimo perché di sicuro qualcuno penserà, guardandosi attorno, chi sarà il prossimo, soprattutto quando si raggiungono mete non più verdissime, e in tanti hanno i loro acciacchi, magari ben nascosti, però, insomma, bisogna avere il coraggio di dirselo che fa impressione essere stati aitanti e ritrovarsi uno con il bastone, l’altro con la stampella, uno con il busto, l’altro con il mal di schiena, spesso pieni di rughe o senza capelli. Per tutto questo penso che a una certa età bisognerebbe andar cauti con i festeggiamenti post mortem. Rischiano di rendere assordante il conto alla rovescia, per chi resta.

Anche sulle celebrazioni dei grandi compleanni con cifra tonda nutro dei dubbi. Se sei il festeggiato e compi, che so, 90 anni, siamo sicuri che una grande celebrazione non corra il rischio di essere vista come un funerale anticipato? Ho una nonna che è morta venti giorni prima di arrivare ai 106. Quando compì 105 anni, ovviamente le facemmo una festa. Nessuno lo disse a voce alta, ma tutti pensammo che, molto probabilmente, quella sarebbe stata l’ultima, come in effetti fu. Per fortuna lei era abbastanza presa dalle nebbie senili da non farci caso per cui, quando qualcuno, per stimolarle i neuroni un po’ addormentati, le chiese «Nonna, quanti anni hai?», lei fulminea rispose: «Dicono 105, ma sono 87». Non so quanto fu una battuta consapevole, visto che ogni tanto si inventava di avere avuto un secondo marito e una seconda figlia, mai esistiti. Però la lucidità di togliersi quasi vent’anni, proprio in quella festa, la ebbe e quindi, andateci cauti con le celebrazioni, sia dei vivi un po’ in età che di quelli che non ci sono più.

mariangela.mianiti@gmail.com

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