VISIONI

Sceneggiatori sottopagati, sciopero in vista a Hollywood?

Manca ancora l’accordo sul rinnovo del contratto, la Writers Guild of America valuta la mobilitazione
LUCA CELADAUSA

Sta arrivando al nodo la vertenza che potrebbe paralizzare Hollywood e le piattaforme che distribuiscono film e serie nel mondo. Questa settimana i 11000 sceneggiatori rappresentati dal Writers Guild of America (WGA) decideranno se autorizzare il sindacato ad indire uno sciopero se non si sarà trovato un accordo sul rinnovo del contratto con studios e streamers. Gli screenwriters potrebbero incrociare le penne dal primo Maggio.
SE COSÌ FOSSE (e in città c’è pessimismo riguardo un accordo), si tratterebbe del primo sciopero della categoria dal 2008, quando la paralisi durò 100 giorni. Gli scrittori, essenziali quanto marginalizzati e sottopagati nella macchina dell’entertainment (nonché storicamente militanti), furono al centro di vertenze contenziose anche nel 1998 nel 2001. Pomo della discordia in ogni caso è stata la retribuzione legata alle nuove tecnologie, e questa volta non è un’eccezione, con gli scrittori che rivendicano un contratto che prenda in considerazione le innovazioni dello streaming che, nel mondo post pandemico, hanno rivoluzionato lo stesso modello industriale.
Solo dal 2019 ad oggi l’investimento produttivo degli studios è quadruplicato (da 5 a 19 miliardi dollari l’anno) per effetto della concorrenza per gli abbonati e l’adozione del modello Netflix da parte della major, costrette, dalla chiusura delle sale, ad attrezzarsi con piattaforme proprie. L’esplosione nel numero di serie prodotte (solo l’anno scorso ne sono uscite 600) ha in teoria prodotto un proporzionale volume di lavoro per maestranze e creativi, ma alla WGA fanno notare come i compensi non abbiano tenuto il passo. Secondo i dati del sindacato, la paga media degli sceneggiatori sarebbe diminuita del 4% nel corso dell’ultimo decennio. Metà degli autori percepisce oggi il minimo salariale rispetto al solo 33% che prendeva il minimo nel 2013, e i compensi sono in ribasso fisso dal 2019.
Una questione spinosa, al solito, riguarda i diritti d’autore che possono sostenere gli autori nei periodi fra produzioni attive. Quelli legati allo streaming sono minori rispetto ai film distribuiti in sala o dei programmi trasmessi in Tv o pay per view. I programmi di successo in particolare, ai tempi dell’etere, venivano ritrasmessi contribuendo ad aumentare i «residuals» mentre i contenuti streaming rendono solo fin quando rimangono «in menù» e, esulando da precedenti contratti, sono calcolati in modo più opaco. Le serie streaming inoltre sono costituite a volte da solo 8-10 episodi per stagione, invece dei canonici 22 della televisione tradizionale, con ovvia ricaduta sui compensi degli scrittori, normalmente retribuiti ad episodio. Per di più i tempi di produzione sono spesso molto più lunghi, allungando anche la pausa fra momenti di scrittura. Nell’insieme, secondo la WGA, l’avvento dell’era digitale a Hollywood ha contribuito a condizioni di «precariato creativo» più simili alla gig economy, che rendono difficile sbarcare il lunario in città come Los Angeles e New York.
Dal canto loro le case di produzione lamentano una situazione di incertezza economica generale aggravata da quella che deriva dal repentino cambio di modello distributivo resosi necessario per causa di forza maggiore. Dopo gli anni di crescita verticale, il settore è nel mezzo di un consolidamento strutturale che ha visto l’emergere di conglomerati come Warner-Discovery ed altri frutto di grandi fusioni, come l’acquisto della Fox da parte della Disney. Quasi nessuno pensa che la conseguente esplosione di piattaforme sia sostenibile sul lungo termine e molti prevedono un rallentamento della cosiddetta «peak Tv» che ha alimentato il boom delle serie. Dopo la doccia fredda della flessione di abbonati di Netflix l’anno scorso, sembra insomma sul viale del tramonto anche l’era degli assegni in bianco e dei mega budget. In città ha fatto molto scalpore, ad esempio, il recente dietrofront proprio di Netflix su Paris Paramount la «rom com» firmata Nancy Meyers con Scarlett Johansson, Owen Wilson, Penelope Cruz e Michael Fassbender, il cui budget era levitato a 150 milioni di dollari. Anche a «Big N» insomma è subentrato un regime più morigerato e l’amministrazione presta più attenzione all’effettivo numero di visioni e di abbonati.
È VERO che i nuovi protagonisti a Hollywood sono colossi con radici nella Silicon Valley e vaste riserve di contanti, come Netflix, Amazon e Apple, ma è anche vero che proprio i giganti del tech sono in fase di generale ridimensionamento degli organici (i licenziati dalle big tech lo scorso anno sono stati più di 200000). Insomma, per gli sceneggiatori potrebbe essere un momento non ideale per vincere la vertenza.
Gli streamer oggi sono conglomerati più multinazionali degli studios anche a livello di produzione diffusa in molti territori – La vertenza di Hollywood potrebbe indurli a trasferire un maggior numero di produzioni in altri paesi. La vertenza promette di essere un test di quanto il modello transnazionale ha indebolito la forza lavoro creativa «autoctona». C’è in gioco molto, insomma, a Hollywood nelle prossime due settimane. Tanto più che a fine giugno è in scadenza anche il contratto DGA – quello dei registi.

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