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Julian Assange non è più solo. Qualcosa si muove

Ri-mediamo
VINCENZO VITAgb

Ieri si è celebrata in diversi paesi, ivi compresa l’Italia (a Genova e a Roma) e a partire da Washington, la giornata di mobilitazione per non dimenticare il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange. Ricorrevano, infatti, quattro anni dall’arresto da parte della polizia del giornalista australiano cui aveva dato asilo l’ambasciata dell’Ecuador presso il Regno Unito. Da allora Assange non ha più visto altro che le mura di una minuscola cella del carcere di massima sicurezza di Belmarsh, chiamato la Guantanamo inglese. Le Corti londinesi competenti ancora non hanno deciso se accogliere l’appello contro l’estradizione negli Stati Uniti formalizzato dal collegio della difesa con l’attiva presenza della moglie avvocata Stella Moris. Si teme che l’intenzione sottesa alle lungaggini burocratiche sia la volontà di portare allo sfinimento e magari alla morte un imputato cui sono addebitati reati senza prove, in assenza di un processo di merito. Non è un caso se diverse testate, da The Guardian al New York Times a Der Spiegel a El Pais a Le Monde , abbiano qualche settimana fa chiesto di rivedere le scelte giudiziarie finora assunte. Ed è importante che l’alto commissario australiano per l’United Kingdom Stephen Smith , incoraggiato dal primo ministro di Canberra Anthony Albanese, si sia recato nel luogo di costrizione, presagendo un intervento del premier laburista che già si era espresso al riguardo nella campagna elettorale.
Ma qualcosa si sta muovendo davvero. Al congresso statunitense un gruppo di parlamentari, su iniziativa della deputata Rashida Tlaib, ha chiesto in una lettera indirizzata al procuratore generale Merrick Garland di far cadere le accuse penali, riconoscendo il primato del primo emendamento della Costituzione degli Usa, che tutela la libertà di informazione. Hanno già aderito numerose personalità come Jamaal Bowman, Ilhan Omar e Cori Bush, mentre sono in arrivo le firme di Alexandria Ocasio-Cortez, Ro Khanna e Pramila Jayapal e ulteriori sottoscrizioni provenienti non solo dal campo democratico.
La bella azione in corso nel Congresso nord-americano ha contagiato in queste ore i parlamentari della Gran Bretagna e dell’Australia, che a decine stanno aderendo a missive omologhe, rivolte al procuratore generale che ha in mano gli atti di accusa.
L’impressione che si ricavava ieri alla manifestazione di Roma, coordinata da Marianela Diaz e Patrick Boylan a nome dei vari comitati per Assange, era di una cauta speranza che il sipario crudele si stia strappando.
Del resto, la speranza è sempre l’ultima a cedere il passo. Sarebbe un odioso e pericolosissimo precedente la condanna di chi ha osato mettere il naso negli arcani del potere e nei terribili segreti delle guerre.
Giustamente, si è sollevata una larga protesta a cura dei direttori di vari quotidiani, per il fermo in Russia del giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich. Come non essere d’accordo. La terra di Putin è la negazione delle libertà e ciò che avviene lassù contro l’informazione libera è agghiacciante. La terribile vicenda dell’assassinio di Anna Politkovskaja non può essere rimossa.
Tuttavia, ci si potrebbe aspettare una presa di posizione simile per Assange. Ne ha parlato e scritto con precisione (citando pure il caso dello spagnolo Pablo Gonzales, arrestato un anno fa in Polonia) il presidente della Federazione nazionale della stampa Vittorio Di Trapani, l’organizzazione sindacale che, insieme all’ordine nazionale dei giornalisti e all’associazione Articolo21, sta dando un notevole contributo alla campagna. Come sta facendo il comitato la mia voce per Assange e come dall’inizio della storia predica la scrittrice Stefania Maurizi.
In molte città si è votata la cittadinanza onoraria per Assange e a questo punto sarebbe indispensabile un atto coraggioso da parte del parlamento italiano. Senza bandiere ed etichette, bensì in nome dell’intangibile diritto di cronaca, è lecito attendersi un sussulto di dignità.
Ne va della credibilità e dell’autorevolezza di istituzioni che discendono dalla Carta fondamentale della Repubblica e dovrebbero applicarla.

 

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