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Morte e vita: il soldato in guerra

Divano
ALBERTO OLIVETTIITALIA

«Questa è l’ossessione in cui il soldato vive tutta la guerra: per lui guerra e morte sono due termini che si equivalgono. Nel soldato in guerra tutti gli elementi del conforto sono negativi. La sua anima è, quindi, in crisi. Questa crisi è aumentata dal pericolo contro il quale egli non ha né la forza, né i mezzi per difendersi».
Così scrive ne L’anima religiosa della guerra pubblicato da Mondadori nel 1935 Cesare Caravaglios (1893-1937), capitano degli alpini nella prima guerra mondiale, più volte ferito, musicista, studioso del folklore musicale.
Nel 1931 Carlo Emilio Gadda pubblica presso le Edizioni di Solaria La Madonna dei filosofi. Traggo un brano dal capitolo intitolato Manovre di artiglieria da campagna: «Molti ragazzi non si sa bene che cosa facciano. Che cosa fanno? Poiché una nebbia nasconde ogni cosa. Reclinato, chi suda un filo rosso di sudore, altri sono come infarinati mugnai. Farina è sui nostri calzoni, sul viso e sulle mani aride… Ma, fra i cubi della roccia divelta, atroci brandelli, maschere tumefatte, costringono i nostri occhi in una fissità perfetta e orrenda. Oh, madri! … Così è che il monte, al confine della terra, si beve il suo farmaco tepido, si beve il suo farmaco rosso. Così è, come già fu, che nostra terra ci porta. Come già fu, come in eterno sarà».
Vincenzo Rabito bracciante siciliano di Chiaramonte Gulfi nel ragusano, classe 1899, soldato semplice del 69° Reggimento Fanteria, 2° Reparto Zappatori, ha diciannove anni quel 15 giugno del 1918 e, racconta: «Li soldate cascavono per terra, senza che nessuno avemmo tempo di vedire se era vivo o morto, opure ferito. Perché d’ongnuno dovemmo penzare per noie. Morte per terra ci n’erino tante che, con lo spavento che avemmo, non zapiammo dove mettere li piede e magare cascammo per terra, e certe volte magare mitemmo li piede sopra li morte e sopra li ferite. Così, tutte non si ha penzato altro – quelli che erimo vive-: ‘Questa volta, si muore’, perché non c’era altro scampo che la morte».
La guerra e la morte per il soldato coincidono. La guerra fa della sua morte il tratto permanente del suo essere ancor vivo. E questo essere ancora vivo è un mero essere esposto alla propria morte. Tutto il tempo del soldato vivo coincide con il qualunque attimo che fa di lui un soldato morto. Il tempo del soldato si presenta come l’ultimo minuto della sua vita e, simultaneamente, come il momento della sua morte. Nel soldato questa dimensione del tempo disaggrega nel profondo ogni determinazione che si dica di relazione, per ridurla a una compulsione ripetitiva di sentimenti, costretta nel tempo e nel luogo.
Così, non potendo affidare la sua vita al presente, il soldato la fissa nel suo passato, in un altrove sicuro, invulnerabile che possa condensarsi in un oggetto che dal passato gli proviene e che il soldato possa conservare su di sé quale presidio di certa vita. Alludo agli amuleti, ai talismani che Caravaglios descrive con estrema precisione e cataloga nella loro ricchissima varietà. Oggetti (una carta, una medaglietta, una foglia d’un roseto miracoloso) che partecipano d’un altro ordine temporale. Ad essi il soldato affida la sua vita. Se morire o non morire non sta a me, ma sta al caso, allora di fronte al caso si ricorre alle le pratiche apotropaiche che occultamente agiscono nella sfera della imponderabile casualità che incombe.
Soldati ovvero l’esser calcolati in ragione d’un uccidere e d’un essere uccisi. Sono soldato, sono qui per essere ucciso. Sono qui per essere morto. Ho consapevolezza che la guerra si conduce con l’essere io, soldato, calcolato come morto. O come uccidibile. Dunque come ucciso. Ed essere, una volta ucciso, sostituito da un uccidibile che subentra. La mia morte coincide con la mia vita. Sono vivo per morire e morire ora. L’atto che eseguo comporta la mia morte: che io sia morto o che io non muoia, sono qui per morire: la mia presenza, il mio esser qui ora ha il suo senso nell’essere io vivo per essere morto. Come soldato compongo il me vivo e il me morto.
I soldati morti sono il soggetto dei bollettini di guerra. I morti soldati sono il soggetto d’una riflessione sulla dignità dell’uomo, De hominis dignitate.

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