INTERNAZIONALE

La lucida follia del palazzinaro di New York

IL TYCOON FA TUTTO IL CONTRARIO DI QUELLO CHE GLI CONSIGLIANO GLI AVVOCATI
FABRIZIO TONELLOUSA

C’è del metodo nella follia di Donald Trump. Che si tratti di follia non c’è dubbio: attaccare pubblicamente il giudice del proprio processo, insieme alla moglie e alla figlia non promette bene sul piano giudiziario. A New York Trump deve rispondere di 34 violazioni di legge, ciascuna delle quali potenzialmente comporta una condanna fino a quattro anni di reclusione. Si tratta del processo per i pagamenti sotto banco a due donne che minacciavano di rivelare i loro rapporti con lui durante la campagna elettorale del 2016 ed è solo l’inizio di una lunga serie di battaglie legali nei prossimi 18 mesi. La sua tattica abituale (gridare alla persecuzione, al complotto dei democratici, alla strumentalizzazione politica della giustizia) fa parte di un copione recitato ormai mille volte con successo ma che stavolta potrebbe rivelare i suoi limiti.
Ci sono almeno tre processi che lo attendono: quello per i tentativi di manipolare i risultati elettorali in Georgia nel 2020, quello per aver sottratto documenti ufficiali agli archivi federali e quello, ben più rilevante, per l’assalto al Congresso il 6 gennaio 2021 nel tentativo di restare al potere dopo aver perso le elezioni. In tutti questi casi Trump segue una linea opposta a quella che i suoi avvocati consigliano: non nega i fatti e anzi rivendica la correttezza del suo operato. Invece di difendersi cercando quella che da noi si chiamerebbe un’assoluzione per insufficienza di prove, si atteggia a vittima delle “toghe rosse” e minaccia sfracelli se qualcuno oserà condannarlo. Berlusconi in Italia ha dimostrato per trent’anni che si tratta di una strategia che può funzionare.
IN REALTÀ TRUMP, un po’ per arroganza caratteriale e un po’ per fiuto politico, vuole continuare su questa linea contando sul rapporto particolare instaurato con i suoi seguaci. Un rapporto più simile a quello del leader di una setta religiosa che a quello di un capo politico. Il 70% degli elettori repubblicani lo vorrebbe di nuovo come presidente: si tratta di una minoranza del Paese ma di una minoranza che conta decine di milioni di persone e che nessuna nuova accusa può scalfire. Trump ha avuto meno voti dei candidati democratici sia nel 2016 che nel 2020 ma conta sulla compattezza della sua base e sulle distorsioni del sistema elettorale americano per ritornare alla Casa bianca nel 2024.
L’arresto di martedì toglie ossigeno agli eventuali concorrenti nelle primarie del partito repubblicano che inizieranno nel gennaio 2024: nessuno degli sfidanti ha il suo carisma, la sua sfrontatezza, i suoi mezzi finanziari, la sua notorietà. Il più simile a lui dal punto di vista politica, il governatore della Florida Ron DeSantis, appare come un impiegato del catasto se confrontato a Trump. Tutto ciò che dice e fa il palazzinaro di New York è parte di uno spettacolo che deve tornare ad affascinare le folle come nel 2016, una performance politica, non una strategia legale.
NEL SISTEMA giudiziario americano, però, l’intimidazione verso i magistrati è molto rischiosa e il vantarsi dei propri crimini ancora di più. I tempi della giustizia sono lenti ma entro fine anno potrebbero arrivare non solo i processi ma anche le condanne: a quel punto gli alleati nel partito repubblicano e nei media potrebbero lasciarlo solo con un manipolo di irriducibili. Troppo poco per salvarlo.

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