EUROPA

Un vertice paralizzato. Grande argomento: la «competitività». E le armi

ZELENSKY HA FRETTA. LA COMMISSIONE EUROPEA METTE SUL TAVOLO 500 MILIONI PER RILANCIARE LA PRODUZIONE DI MUNIZIONI
ANNA MARIA MERLOUCRAINA/EUROPA/BRUXELLES

Un Consiglio europeo finito in fretta, persino la conferenza stampa finale dei presidenti di Consiglio e Commissione annullata. È stato un vertice di transizione, senza grandi decisioni, come paralizzato dal corso del mondo. Scena surreale: ieri mattina, al summit della zona euro, Christine Lagarde (Bce) e Paschal Donohoe (Eurogruppo) hanno insistito sulla «resilienza» delle banche europee, la Bce «fiduciosa», le banche della zona euro «ben equipaggiate per far fronte alle turbolenze del mercato», più agguerrite rispetto alla crisi del 2008: nello stesso momento, le azioni delle banche europee stavano crollando, in testa Deutsche Bank. Il cancelliere Olaf Scholz ha insistito sulla «stabilità» delle banche. La Ue trema di fronte alla crisi del Crédit Suisse, dopo il crollo della Silicon Valley Bank statunitense. L’intenzione era rassicurare, la conclusione è un documento economico di una paginetta, che constata che l’economia della Ue è «più in salute» nel 2023, «malgrado l’inflazione e il prezzo dell’energia». Sull’elettricità si riparlerà più tardi dell’eventuale separazione di questo mercato da quello del gas, che stabilisce i prezzi (alti) dell’energia.
All’Ucraina la Ue promette un milione di munizioni. Il presidente Zelensky mette fretta, il commissario Thierry Breton ha individuato 15 produttori di munizioni in 11 paesi Ue. Dietro questo piano, c’è un progetto di rilancio della produzione - anche di armi, purtroppo - nella Ue. Ma per il momento la sola constatazione è che mancano le fabbriche e che quindi gli «acquisti comuni» dovranno rivolgersi anche altrove. La Commissione ha messo sul tavolo 500 milioni per rilanciare la produzione di munizioni (più 2 miliardi, extra budget Ue, per rimborsare gli stati che hanno fornito munizioni a Kyiv e per gli acquisti congiunti). La Ue non è pronta per un nuovo pacchetto di sanzioni alla Russia, ma vuole agire contro i paesi che le aggirano (Bielorussia, Kazakstan).
Il grande argomento è la «competitività» della Ue, messa in difficoltà dalla concorrenza, anche degli amici, Usa in testa (con il piano Ira), che non solo largheggiano nelle sovvenzioni ma hanno anche il vantaggio di prezzi molto più bassi dell’energia. La Ue, con il piano Net Zero Industry Act (Nzia), per favorire l’accesso alle materie prime critiche, propone una semplificazione amministrativa, più velocità. E anche una manica larga per gli aiuti di stato (che significa più poteri agli stati): l’irlandese Leo Varadkar, alla testa di un paese molto accogliente verso gli investimenti esteri, ha messo in guardia sulla crescita degli aiuti di stato, che finiranno per favorire i grandi paesi che hanno spessore finanziario e che, a suo dire, faranno aumentare le tasse. Ma l’elefante nella stanza è la Cina: lo spagnolo Pedro Sanchez sarà presto a Pechino, all’inizio di aprile Emmanuel Macron andrà in Cina assieme alla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Per la Ue, la Cina è «rivale sistemico». Gli accordi commerciali con altre zone economiche avanzano con difficoltà: ieri, Scholz ha preso le difese dell’accordo con il Mercosur, ma altri stati frenano, per timore della concorrenza agricola. Tra questi la Francia. Tra Parigi e Berlino il clima non è più al bello fisso. Berlino vuole concretizzare la «promessa» della Commissione su un compromesso che salvi Das Auto mentre Parigi, per difendere il nucleare come energia verde, preme sulla «neutralità tecnologica» che dovrebbe permettere a ogni stato di decidere quali energie privilegiare per rispettare gli obiettivi di neutralità carbonio nel 2050. Giorgia Meloni ha cercato di inserirsi in questo contenzioso, per frenare l’auto elettrica.

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