VISIONI

Violenze nei media giapponesi, il caso Johnny Kitagawa

Maboroshi
MATTEO BOSCAROLGIAPPONE

Smap, Arashi e Kanjani Eight sono solo alcune delle boy band più popolari che nel corso degli ultimi trent’anni sono diventate, grazie ai loro concerti, partecipazioni televisive e costante esposizione mediatica, parte integrante dell'immaginario popolare giapponese. Tutti questi gruppi fanno parte e sono stati architettati dalla più potente agenzia produttrice di talenti nel Sol Levante, la Johnny & Associates. Fondata nel 1975 da Hiromu Kitagawa, in arte Johnny Kitagawa, imprenditore scomparso nel 2019 all’età di ottantasette anni, l’agenzia è stata oggetto nelle ultime settimane di attenzione internazionale e di riflesso anche nazionale, grazie ad un documentario prodotto ed andato in onda sulla BBC lo scorso 7 marzo.

Il programma televisivo ha portato alla luce sui media mainstream quello che era già stato discusso in articoli di stampa e in tribunale alla fine dello scorso secolo, ovvero che Kitagawa avrebbe approfittato della sua posizione di potere per avere rapporti di natura sessuale con i giovani ragazzi che entravano nella sua compagnia. Fra le altre cose, il documentario della BBC porta l’esempio di un ragazzo, all’epoca quindicenne, che secondo la sta stessa testimonianza sarebbe stato spinto ad avere un rapporto sessuale con Kitagawa in due diverse occasioni. Questo sarebbe stato necessario per poter far carriera nella Johnny & Associates, dove i ragazzini entrano ancora giovanissimi con la speranza di far parte del prossimo gruppo di successo dell’arcipelago. Se ciò si avvera, le loro vite e quelle delle loro famiglie mutano radicalmente, il successo non è infatti solo economico, ma soprattutto di popolarità. I volti dei membri dei gruppi di successo dell’agenzia di solito sono presenti dappertutto, dai cartelloni pubblicitari, alle riviste di settore, dai concerti ai programmi televisivi più famosi. Qui si trova uno dei motivi per cui queste molestie, sempre secondo il documentario, non verrebbero mai a galla nei media tradizionali: diventare nemici dell’agenzia significa precludere la partecipazione dei membri dei gruppi più famosi, negli ultimi trent’anni i volti più popolari della televisione e anche del cinema e vere e proprie star che muovono milioni di yen, a programmi televisivi o sui giornali. Questo circolo vizioso non solo funziona come una cupola, ma limita e influenza in negativo il prodotto cinematografico e televisivo, che diventa un mezzo per promuovere i vari gruppi in voga al momento.

Il fatto che le molestie sessuali portate allo scoperto dal giornale scandalistico «Bunshun» nel 1999 siano state confermate, ma che nella coscienza della popolazione giapponese sia stato tutto dimenticato o ignorato è esemplare di questa potente manipolazione mediatica. Il problema è delicato in quanto chi ha subito le violenze ha, ovviamente, difficoltà a ritornare su un periodo e su dei fatti così dolorosi, anche perché parte della società giapponese non è ancora pronta a trattare in modo onesto e serio le vittime. Le cose stanno fortunatamente cambiando, anche se lentamente. Restando sempre nel mondo dello spettacolo, il regista Sion Sono lo scorso anno è stato accusato di aver approfittato della sua posizione di potere per avere rapporti sessuali con giovani aspiranti attrici. La questione sollevata dal documentario è quindi importante e degna di una profonda riflessione, è un peccato che il programma in sé sia di taglio scandalistico, pieno di luoghi comuni e orientalista e, cosa ancora peggiore, generalizza facendo di tutta l’erba un fascio, quando poteva essere più specifico ed attenersi all’ottimo lavoro giornalistico fatto.

matteo.boscarol@gmail.com

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