EUROPA

Nella Libia spaccata in due non c’é volontà di prestare soccorso

Da un lato il governo di Tripoli e dall’altro l’"uomo forte" Haftar, sostenuti rispettivamente da turchi e russi. I migranti nel mezzo
STEFANO MAUROlibia

Il diplomatico senegalese Abdoulaye Bathily, da ottobre a capo della Missione di sostegno Onu in Libia (Unsmil), ha annunciato al Consiglio di sicurezza del 27 febbraio, l'avvio di un'iniziativa che dovrebbe consentire «lo svolgimento delle elezioni presidenziali e legislative entro il 2023». Il diplomatico ha provocato le ire degli attori politici libici deplorando «l'incapacità del parlamento» - diviso in due camere rivali - di «mettersi d'accordo» sull'organizzazione di queste elezioni, inizialmente previste per dicembre 2021 e rinviate a tempo indeterminato a causa delle continue divergenze tra i due schieramenti: il primo con sede a Tripoli e l’altro a Sirte.
Dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi nel 2011, la Libia è stata lacerata dalle divisioni tra l'ovest e l'est alimentate da interessi stranieri.
TRIPOLI E IL NORD OVEST del paese sono controllati dal Governo di unità nazionale (Gnu), attualmente guidato del primo ministro Abdul Hamid Dbeibah - riconosciuto dall’Onu e dall’Unione Africana - che beneficia del sostegno logistico e militare della Turchia di Erdogan. L’est e vaste zone della Libia centrale e meridionale sono sotto l’autorità della Camera dei Rappresentanti, che nel marzo 2022 ha creato un governo parallelo con Fathi Bashagha come primo ministro. Ma in realtà il vero uomo forte dell’est rimane il generale Khalifa Haftar, sostenuto a livello militare ed economico dalla Russia, dall’Egitto e dagli Emirati Arabi Uniti.
Divisioni che creano una situazione di precarietà riguardo ai soccorsi marittimi come avvenuto nel naufragio di questo sabato, in cui risultano dispersi ancora 30 migranti. Un nuovo trend è che sempre più imbarcazioni partono da territori sotto il controllo di Haftar nell’est della Libia, senza alcuna possibilità di «monitoraggio e recupero» da parte della guardia costiera libica che si trova sotto il controllo occidentale del Gnu.
A PRESCINDERE DAI LUOGHI di partenza - oltre 700mila migranti presenti nel paese secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) - rimane la denuncia di numerose ong, Human Rights Watch in primis, riguardo a «comportamenti irresponsabili o di totale negligenza da parte delle forze libiche» o alla necessità di ritirare il comando operativo dei soccorsi alla Libia visto che «le autorità non hanno né la volontà, né le capacità necessarie per svolgere operazioni di soccorso in modo sicuro».
Un’incerta risposta di «disponibilità» per collaborare con il piano di Bathily è arrivata mercoledì da parte di Dbeibah, con la richiesta alle Nazioni unite di «fornire assistenza logistica per organizzare le elezioni», visto che il suo governo ha un potere limitato e rappresenta un compromesso fra i poteri forti dell’ovest - che includono le milizie islamiste di Tripoli e Misurata - e interessi economici legati a reti di clientelismo tra i vari clan.
IL PIANO NON HA CONVINTO il suo avversario politico Bashaga, ma soprattutto la Russia e il maresciallo Haftar che hanno etichettato l'iniziativa dell’Onu «come un tentativo di imporre una volontà internazionale ai libici» e perché vieterebbe «la candidatura di militari e cittadini con doppia nazionalità», impedendo di fatto ad Haftar (militare con cittadinanza libica e americana) di candidarsi.
Nella realtà dei fatti entrambe i contendenti, non avendo legittimità democratica, cercano di mantenere lo status quo delle cose, visto che le loro alleanze politiche sono interessate a ottenere posizioni di potere nel governo e nelle forze di sicurezza, a controllare le finanze pubbliche e le infrastrutture energetiche che rappresentano il 98% delle entrate pubbliche. Se le autorità di Tripoli controllano la compagnia petrolifera nazionale, la National Oil Corporation (Noc) e la Banca centrale, riscuotendo quindi i proventi della produzione di idrocarburi, le forze di Haftar controllano l’intera "mezzaluna del petrolio" nell’est del paese e la maggior parte dei porti petroliferi della Libia.
DOPO UN LUNGO PERIODO di insicurezza e divisioni, i due schieramenti sono giunti, lo scorso luglio, a un accordo con la nomina di Farhat Bengdara come direttore del Noc - che durante la visita della premier Meloni di fine gennaio ha firmato un accordo con Eni da 8 miliardi di dollari - e alla totale ripresa della produzione ed esportazione di petrolio, con un’ormai certa divisione dei guadagni tra i due schieramenti.

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