SOCIETA

I dieci anni che hanno sconvolto la chiesa. E ora la sfida del sinodo

IL BILANCIO DI UN PONTIFICATO
LUCA KOCCIvaticano

Dieci anni non bastano per tracciare un bilancio del pontificato di Francesco, peraltro ancora in corso e a «tempo indeterminato», nonostante ipotesi di dimissioni che sembrano più interessate che reali. Sono però sufficienti per osservare in quale direzione si è mossa la Chiesa cattolica. Anzi in quali direzioni, perché le traiettorie sono almeno due, e non sempre hanno viaggiato in maniera convergente e alla stessa velocità.
Sul versante sociale, l’accelerazione impressa da Bergoglio alla Chiesa è stata decisa, tanto da costituire un vero e proprio cambio di linea rispetto a quella rigidamente dottrinale del proprio predecessore, con cui c’è stata anche un’inedita coabitazione – papa regnante e papa emerito – fino a gennaio.
Fra i tanti temi di questa «conversione sociale», tre emergono su tutti. Il primo è quello dei diritti dei migranti, reso evidente da uno primi atti del pontificato: il viaggio a Lampedusa, ad appena tre mesi dall’elezione alla cattedra di Pietro. Replicato tre anni dopo con un nuovo viaggio in un’altra isola «porta d’Europa», Lesbo. Poi le dure critiche alla «fortezza Europa» e la risignificazione delle «radici cristiane» dell’Europa, non in chiave identitaria ed esclusivista, ma umanistica e solidale. Fino alle parole di questi ultimi giorni, non quelle ovvie sulla necessità di fermare i «trafficanti di esseri umani» – strumentalizzate dal governo Meloni, che le ha scolpite su una lapide posta a Cutro con l’intento di coprire i propri errori –, ma quelle scomode sull’«accoglienza gratuita», non a caso oscurate dai media di regime. Il secondo è quello dell’ambiente, sintetizzato nell’enciclica Laudato si’ (2015), nella quale Bergoglio ha strettamente collegato ecologia e giustizia sociale. Infine quello della guerra, con la condanna di qualsiasi ipotesi di «guerra giusta», del «possesso» delle armi nucleari («illegali, immorali, illogiche: vanno abolite») e in generale della produzione e del commercio degli armamenti.
Più lento e soprattutto meno lineare è apparso invece il cammino sul fronte interno, ovvero sul terreno di quella riforma della Chiesa che pure aveva suscitato grandi attese da parte dei settori progressisti e forti timori dai conservatori, i quali hanno infatti moltiplicato gli attacchi al pontefice, accusandolo anche di eresia.
Dopo le prime piccole aperture sul tema dell’accesso ai sacramenti da parte dei divorziati risposati in occasione del Sinodo sulla famiglia (2014-2016), il percorso si è arenato sul tema dei preti sposati. E se anche ieri Bergoglio, intervistato dal canale argentino Infobae, ha dichiarato che il celibato ecclesiastico non è «eterno» ma è una «prescrizione temporanea che potrebbe essere rivista», è vero che quando ha avuto la reale possibilità di modificare la norma, come richiesto dai vescovi dell’Amazzonia, ha rispedito al mittente la loro proposta di ordinare preti uomini sposati (viri probati), con l’esortazione apostolica Querida Amazonia (2020).
È indubbio che papa Francesco ha aperto molti cantieri: parole nuove nei confronti delle persone omosessuali, commissioni di studio sul diaconato femminile, interventi sul crimine degli abusi sessuali, inviti alla sinodalità. Tuttavia l’edificio della Chiesa romana ha subito minime ristrutturazioni ma è rimasto sostanzialmente uguale. Ha spostato in maniera significativa l’asse della missione della Chiesa dalla dottrina al sociale, ma non ha modificato la sua struttura.
Bergoglio non ha attuato la «terapia d’urto» di Giovanni XXIII, che annunciò e convocò il Concilio Vaticano II poco dopo la sua elezione a papa, ma ha scelto la via graduale di «avviare processi» che possano produrre riforme. Funzionerà? Sarà il tempo a dirlo. Il primo banco di prova non tarderà molto, con le tappe finali del Sinodo dei vescovi in programma nel 2023-2024: lì si capirà se la Chiesa di Francesco sarà realmente sinodale o resterà romanocentrica.
(lu.ko.)

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