VISIONI

Jason Moran celebra Monk in uno show multimediale

GIANLUCA DIANAitalia/orvieto

Ascoltare leggendarie hits del Philly Sound all’interno dell’affascinante e rigorosa livrea del Teatro Mancinelli di Orvieto, senza urlare al sacrilegio, è possibile. Soprattutto se l’autore è Marc Ribot in forma smagliante, ben coadiuvato dai suoi The Young Philadelphians. Love Rollercoaster e TSOP, solo per citare due dei brani in scaletta, sono l’ennesima dimostrazione di come una melodia ben scritta, possa essere funzionale pressoché ovunque, naturalmente se gli esecutori sanno fare il loro mestiere con estro e credibilità. Abilità che certo non manca al musicista statunitense, supportato egregiamente da una sezione ritmica composta dal bassista Jamaladeen Tacuma e dal batterista Calvin Weston, entrambi già con O. Coleman, dal talento della chitarrista Mary Halvorson e da un ottimo trio d’archi.
RIBOT è stato il trascinatore di una brillante edizione di Umbria Jazz Winter, di cui quest’anno ricorreva il venticinquennale. Non solo grazie al concerto dai suoni punk-funk con forti richiami degni del Davis elettrico, ma anche alle performance assieme al suo trio con Henry Grimes e Chad Taylor, dove gli spazi del jazz improvvisativo figlio dell’era di Albert Ayler l’han fatta da padrone. Nella rassegna che ha preso il via lo scorso ventotto dicembre per concludersi lunedi primo gennaio, numerose sono state le eccellenze. Il pianista Jason Moran ha presentato In My Mind: Monk At Town Hall 1959, spettacolo multimediale destinato alla celebrazione dell’iconografico jazzista afroamericano di cui nel 2017 ricorreva il centenario della nascita.
MISCELANDO con buon gusto e una azzeccata drammaturgia la voce dell’artista assieme a stralci della sua esibizione del 28 febbraio 1959 nel teatro di New York, Moran assieme al suo settetto è stato autore di un riuscito concerto. Molta attesa per la prima apparizione italiana di Jazzmeia Horn, giovane e talentuosa vocalist che negli ultimi anni ha fatto incetta di premi prestigiosi, uno su tutti il Thelonius Monk Jazz Competition. L’artista afroamericana ha mostrato il meglio di sè, palesando una indiscutibile perizia tecnica nell’uso della voce, grazie anche al supporto di ottimo trio alle sue spalle, riuscendo con mestiere a coinvolgere il pubblico, proponendosi con un’estetica da palco dai forti richiami al Black Movement. Divertente e tecnico al tempo stesso il live a firma dei The Licaones, quartetto nuovamente in tour dopo oltre dieci anni: muovendosi tra boogaloo e funky-jazz, Mauro Ottolini, Francesco Bearzatti, Oscar Marchioni e Paolo Mappa hanno portato una ventata di freschezza nella rassegna umbra. Oltre loro, nutrita come al solito la presenza italiana che nel cartellone del festival vedeva tra gli altri il duo composto da Gino Paoli e Danilo Rea con ospite speciale Flavio Boltro, il quartetto di Fabrizio Bosso, una triplice esibizione di Maria Pia De Vito anche assieme a Rita Marcotulli, un doppio concerto per Giovanni Guidi. Come da tradizione, rilevante anche la presenza di suoni altri dalla galassia del mondo african-american.
MUSICA RELIGIOSA rappresentata quindi dai Benedict Gospel Choir del South Carolina. Da New Orleans invece gli aspetti più ludici e popolari. Il soul ha visto protagonisti The New Orleans Mystics, quartetto capace di muoversi anche in ambiti rhythm and blues, proponendo un repertorio tradizionale e sempre coinvolgente. Ambasciatore del blues della città della Lousiana, è stato Little Freddie King. Nonostante non sia più giovanissimo, ha espresso la sua cifra artistica densa di groove urbani e con una spiccata attitudine al boogie da chitlin’ circuit. Una musica scarna ma fortemente empatica, come testimoniato dalle stesse parole del chitarrista: «Suono il blues originale di New Orleans, che non è una città come le altre. È diversa, sa raccontare se stessa grazie alla sua identità culturale. Basta vedere quanto è successo con l’uragano Katrina: molti di noi non ci sono più, altri hanno abbandonato la città, Ma siamo riusciti a resistere. E ora che le cose vanno finalmente meglio, noi siamo ancora qui grazie alla nostra musica».

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