VISIONI

Širom: «Gli strumenti crescono con noi, li modifichiamo perché ci sorprendano»

LA BAND SLOVENA IN ITALIA PER QUATTRO DATE
LUCREZIA ERCOLANIslovenia

Širom è un'antica parola slava che significa «ampio» e appare perfetta per definire la band slovena formata da Iztok Koren, Samo Kutin e Ana Kravanja. Tra le trame degli strumenti che si rincorrono – i più svariati, da quelli autocostruiti a quelli provenienti da vari angoli del mondo, un elenco sommario può includere il violino, il banjo, il balafon, il mizmar, la tampura, la lira, il liuto e diversi tipi di percussioni – il pathos è forte e il senso è sempre eccedente alla somma degli elementi, come un'aura che avvolge gli ascoltatori rimandandoli a una dimensione misteriosa e per certi versi ancestrale. È un trasporto che precede le parole, la voce diventa infatti uno strumento accanto agli altri. Il loro primo album risale al 2015 e i Širom non sono una scoperta per chi segue le correnti underground legate al folk e all'improvvisazione, il loro ultimo lavoro però, The Liquified Throne of Simplicity, li ha portati all'attenzione della stampa musicale internazionale campeggiando in numerose liste di fine anno. La band sarà in Italia a partire da lunedì per quattro date (Torino, Savona, Ravenna, Trieste) di cui conviene approfittare vista l'intensità dei loro concerti. Incontriamo Samo e Ana su Zoom poco prima che partissero in tour.
Iniziamo dalla definizione che avete dato alla vostra band, quella di «imaginary folk».
Samo Kutin: La nostra musica è stata descritta in tanti modi diversi, ma nessuno ci ha mai pienamente soddisfatto. «Imaginary folk» è composto da due parole che ci piacciono, e ci sembra che dica di più su quello che facciamo, che ha sì dei tratti folk ma non appartenenti a nessuna tradizione in particolare. È come se fosse un folk immaginato per un altro universo.
Tuttavia, avete una relazione con le reali tradizioni folkloriche.
Ana Kravanja: Ascoltiamo molta musica tradizionale dal mondo, tribale africana, sudamericana, indiana. È musica semplice che viene dall'anima delle persone, è molto sincera e per questo mi piace.
S.M: Abbiamo fatto dei viaggi in Iran, Marocco, India, Mali e abbiamo portato degli strumenti da questi Paesi, non li suoniamo come andrebbe fatto ma il sound di queste tradizioni è presente. Siamo cresciuti con il punk e il rock n roll ma abbiamo sempre sentito l’esigenza di fare qualcosa di originale.
Il melting pot di queste tradizioni rimanda a un elemento politico, per il superamento dei confini?
S.M: Non è un’intenzione cosciente ma ci fa molto piacere se viene pensato. Per noi l’importante è essere sinceri, gli strumenti sono cresciuti con noi e le nostre esperienze, sono parte delle nostre vite. Non si tratta di una decisione ma di ciò che la musica richiede.
Il processo di autocostruzione degli strumenti è collettivo o individuale?
S.M: Per me è iniziato circa vent'anni fa, quando io e mio fratello abbiamo cominciato a usare oggetti che trovavamo in casa per suonare. Tutti noi tre abbiamo strumenti preparati, mettiamo piccoli oggetti sulle corde o dello scotch, oppure usiamo altro al posto dell’archetto...ci piace che gli strumenti suonino in modi che sorprendono noi in primis.
Il vostro ultimo album ha avuto una risonanza maggiore dei precedenti, è cambiato qualcosa nella composizione?
S.M: Lo abbiamo creato durante il lockdown, in quella situazione abbiamo iniziato a vederci noi tre per suonare e questo ci ha influenzato molto. Il materiale richiedeva canzoni più lunghe, allora abbiamo parlato con l'etichetta Glitterbeat Records che ci ha accordato un doppio vinile, cosa che ci ha resi molto più liberi. Subito dopo abbiamo fatto un «underground tour» in grotte e spazi sotterranei in Slovenia, con una bellissima energia.
Tour che avete documentato in un film, dove emerge la vostra forte relazione con la natura, è un'ispirazione per voi?
A.K: Noi due viviamo in un’area rurale e la natura è certamente molto importante, essere in un ambiente selvaggio, fare lunghe camminate...quando si suona è fondamentale anche il silenzio, il saper prendersi degli spazi per lasciare che la musica accada. All'inizio ci dicevamo: voglio fare musica così o così e litigavamo sempre, invece suonando e basta non ci sono problemi, la musica si sviluppa da sola.
Non avete testi ma i vostri titoli sono piuttosto criptici.
S.M: Li componiamo mescolando casualmente parole che ognuno di noi sceglie indipendentemente dall’altro. È un modo per far parlare l’inconscio e per non pensare troppo.

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