SOCIETA

Petricone: «La violenza si contrasta dalla scuola»

PARLA L’ATTIVISTA DI BEFREE E VICEPRESIDENTE DELLA CASA DELLE DONNE DI ROMA
ALESSANDRA PIGLIARUITALIA/ROMA

«Per me l’8 marzo ha tanti significati, per i tanti abiti che indosso». Antonella Petricone, socia fondatrice di BeFree, vice presidente della Casa Internazionale delle Donne di Roma e appartenente al gruppo di Indici paritari. Più donne nei testi scolastici e un nuovo linguaggio (presenti ieri in piazza), è femminista e attivista da anni su più temi che ieri sono stati portati anche al corteo organizzato da Non Una Di Meno a Roma e in altre 37 città.
«Nella veste di insegnante l’8 marzo non è una giornata celebrativa - afferma Petricone - ribadisco piuttosto le battaglie importanti delle donne per i diritti consapevole che non sia efficace discutere alcuni temi solo intorno a date precise. Credo invece sia importante costruire, una pietra dopo l’altra, un processo critico e arrivare all’8 marzo introducendo percorsi politici, di educazione civica, storici e di parità durante tutto l’anno scolastico. Per esempio parlando della storia delle donne, soprattutto là dove è insufficiente o assente dai libri di testo oppure è relegata a box di approfondimento. Parlo quindi di scrittrici, scienziate, saggiste, pittrici e l’elenco potrebbe essere lunghissimo».
In questo 8 marzo si è parlato anche di violenza. Come attivista di «BeFree», il contrasto della violenza maschile contro le donne è al centro di diversi percorsi che proponete e portate anche all’interno delle scuole.
Oltre alle conquiste e ai diritti, è giusto illuminare gli altri aspetti della vita delle donne. Ecco perché, dal 2007 come BeFree riteniamo che la violenza maschile e di genere si contrasti anche raccontando ai ragazzi e alle ragazze chi siamo, cosa facciamo, come operiamo, aprendo discussioni e confronti sulle forme di violenza e discriminazione ma non sui dati piuttosto invece su tematiche che riguardano le relazioni, che attengono per esempio al potere e alle forme di sopraffazione, in cui non si è libere e liberi; oppure all’amore, come viene declinato, a quali narrazioni e retoriche appartiene, dunque che cosa è e che cosa non è. Anche questo è il lavoro pregresso che ci fa arrivare a giornate come l’8 marzo più coscienti, congiungendo le competenze acquisite nello scambio.
Mi viene in mente che pochi giorni fa alla Casa Internazionale delle Donne c’è stato un incontro sull’immaginario coloniale dentro i libri di testo, è stata un’occasione di conoscenza e alleanza con altre soggettività che confluiscono in percorsi educativi e politici.
Di questo percorso educativo, storico e politico fa parte anche l’antifascismo.
È stato un 8 marzo in cui si è fatta sentire di più la voce di donne e attiviste che portano istanze di libertà e pratiche e temi, nei vari servizi, nei movimenti e nelle organizzazioni e collettivi come anche nelle singole vite di ognuna. Noi andiamo a gridare nel corteo ma sono cose che portiamo avanti nei territori e nei vari contesti in cui lavoriamo e ci impegniamo. Anche l’antifascismo fa parte di questo, soprattutto in un momento in cui la disgregazione è in agguato e non solo su questo punto; la sento come forma di fragilità che arriva da un esterno ed è causa di preoccupazione. A partire da me e dalla mia esperienza, avverto il bisogno di sentirci unite, parte di una «comunità» politica in cui riconoscerci.
Su cosa si dovrebbe insistere ancora?
Smontare tutti quei pregiudizi che sono alla base della violenza di genere e attraverso cui si costruiscono immaginari sessisti. Il lavoro ancora da fare è per esempio sul linguaggio, ancora una volta dal mio osservatorio privilegiato che è la scuola. Certo c’è l’obiettivo 5 dell’Agenda 2030 («Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile», il punto 5 è relativo alla parità di genere, ndr) quindi possiamo e dobbiamo parlare di queste tematiche ma non basta perché in mancanza di buone pratiche non possiamo costruire consapevolezza, anche sulla violenza.

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