SOCIETA

Sciopero e cortei eco-transfemministi da Milano a Napoli

Manifestazioni in 38 città italiane indette dalla rete «Non una di meno». Contro il «sistema patriarcale e capitalista»
GIULIA D’ALEOITALIA

Più di 38 città d’Italia ieri hanno risuonato all’unisono, risvegliate da voci che con rabbia hanno rivendicato i propri diritti e li hanno ricordati all’intero Paese. Diritti assenti, ma resi visibili dai corpi, gli striscioni e i cori delle decine di migliaia di persone che hanno aderito con le proprie istanze alla manifestazione femminista e transfemminista indetta per l’8 marzo dalla rete «Non una di meno». Uno sciopero collettivo ha inaugurato la giornata, invitando all’astensione dal lavoro produttivo e di cura, dai consumi, ma anche dal genere stesso e dall’opprimente rigidità di aspettative e ruoli socialmente imposti.
GIÀ DALLA MATTINA, molte città avevano dato un’anticipazione dei cortei pomeridiani, con manifestazioni tematiche portatrici di una visione nuova della società, libera da un sistema patriarcale e capitalista basato sullo sfruttamento dei corpi, dell’ambiente, del sistema scolastico e di quello sanitario.
A Roma la giornata di lotta è iniziata tra i negozi del centro, con messaggi di denuncia – abbandonati nelle tasche dei capi d’abbigliamento – e un manifesto eco-transfemminista contro l’industria del fast fashion, fondata sullo sfruttamento di risorse, di corpi animali e di manodopera a basso costo, perlopiù femminile.
Il corteo romano poi, in un insolito itinerario che ha attraversato Testaccio per terminare a Largo Bernardino da Feltre, ha portato in scena azioni di lotta e performance collettive di denuncia. La prima, alla partenza, davanti alla sede dell’Acea, in un gesto di solidarietà alle lavoratrici che nelle scorse settimane avevano denunciato atteggiamenti sessisti da parte dell’amministratore delegato della società, Fabrizio Palermo. Oltre diecimila attiviste e attivisti hanno poi preso parte al ricordo delle vittime del naufragio di Cutro e assistito al flashmob finale, sull’autodeterminazione della donna e la liberazione dallo sfruttamento del lavoro produttivo e riproduttivo.
ANCHE MILANO è stata attraversata due volte nel corso della giornata di ieri. La prima, da un corteo studentesco di tremila persone, che da largo Cairoli si è snodato per le vie del centro alle 9.30, facendo tappa al Tribunale della città – «Ci violentate ogni volta che non veniamo ascoltate e credute», ha urlato al megafono una manifestante – e alla sede di Confindustria, indicata come responsabile delle politiche di aziendalizzazione degli istituti scolastici che hanno portato alla morte dei tre studenti in alternanza scuola-lavoro. Il secondo corteo, quello delle 18.30, è partito da Piazza Duca D’Aosta con una performance: mani e piedi legati a una croce con scritto «Dio, patria e famiglia».
A Torino un centinaio di attiviste hanno bloccato, insieme ai dipendenti della cooperativa Meridiana, i cancelli dello stabilimento Iveco, azienda per cui la cooperativa lavora in appalto e che ha annunciato il licenziamento di 15 lavoratrici. «Interruzione volontaria di patriarcato», è lo slogan portato più tardi davanti al Consiglio regionale di palazzo Lascaris, contro le politiche di finanziamento ai movimenti pro-vita e per un accesso alla sanità libero da discriminazioni per le persone transgender. «Non vogliamo più tornare con le chiavi strette nel pugno per paura», ha poi urlato al megafono un’attivista alle migliaia di persone che da Piazza XVIII dicembre a piazza Vittorio hanno riempito le strade del centro nel corteo pomeridiano.
LA GIORNATA DI LOTTA è iniziata con un presidio anche a Bologna, questa volta accanto alle lavoratrici dell’azienda di trasporto pubblico Tper, assunte da una cooperativa «che impone part-time involontario e che continua ad abbassare i salari», ci ha raccontato Paola di Nudm. Circa cinquemila persone hanno poi invaso il centro, assistendo o prendendo parte attivamente a diverse azioni simboliche, dall’esposizione di giganti scontrini per il «lavoro di cura, invisibile e non pagato», attaccati alle mura dell’Inps, alla presa di distanza dal governo e da una premier donna portatrice di politiche razziste ed escludenti: «Abolizione del reddito di cittadinanza: Giorgia Meloni ci vuole più povere e sfruttate» recitava uno degli striscioni.
Altre decine di migliaia di persone hanno riempito le piazze di Napoli, Palermo e Genova, dove è stato lanciato il nuovo progetto dell’«Osservatorio salute» sulla violenza ostetrica e sanitaria che, ci dice Ariela di Nudm, «vuole indagare alcune storture di cui è causa anche lo smantellamento del sistema sanitario nazionale, in cui la Liguria è all’avanguardia». Nelle manifestazioni di tutta Italia non sono poi mancati riferimenti ad Alfredo Cospito e al regime del 41bis, al decreto flussi e alla marginalizzazione delle soggettività razzializzate, a conferma del fatto che la lotta femminista non può che essere intersezionale.

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