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Un’opinione in movimento per Julian Assange

Ri-mediamo
VINCENZO VITAITALIA/ROMA

Ha fatto una puntata italiana Stella Moris, la moglie avvocata di Julian Assange.
In particolare, su iniziativa della deputata di 5Stelle Stefania Ascari e dell’europarlamentare Sabrina Pignedoli, nel pomeriggio è stata accolta da una stracolma aula dei gruppi parlamentari. Il dato quantitativo non è secondario, visto che la pur significativa scadenza ha avuto una gestione poco allargata. Peccato.
Stella Moris ci ha spiegato con voce intensa ma non comiziale che il caso di Assange è «un caso del nostro tempo». Infatti, la vicenda del fondatore di WikiLeaks racconta meglio di tanti saggi a che punto è la notte della democrazia. Senza accuse precise, con il ricorso (opportunamente riadattato) all’Espionage Act per evitare gli scogli normativi cui si trova di fronte l’attacco al diritto di cronaca, si è inteso usare Assange come vittima sacrificale, per un nuovo corso da imprimere al tema delle libertà. Post-democrazia, democratura: si usa nominare così la tendenza.
Non per caso, ha sottolineato la Moris, proprio la narrazione di WikiLeaks aveva cambiato la percezione delle guerre. Con le terribili immagini degli eccidi in Iraq e in Afghanistan perpetrati dall’occidente buono, si era passati a vedere i corpi: i morti e i feriti. Non i puntini delle schermate asettiche in uso negli anni precedenti grazie ai satelliti.
Vedere, riuscire a conoscere fuori dalle immagini virtuali o dall’angoscia della televisione del dolore è fondamentale per costruire un clima pacifista. Il giornalismo embedded ci dice pezzetti di verità e ci accorgiamo proprio con la crisi dell’Ucraina quale fosse il valore straordinario di Assange e della sua redazione.
Ne ha parlato Alessandro Di Battista, salutando il ritorno del Mov5stelle su di un argomento che sembrava svanito dall’agenda delle priorità.
È stato molto apprezzato l’intervento del presidente dell’ordine dei giornalisti Carlo Bartoli, che ha ricordato la scelta non scontata nella stessa categoria di attribuire la tessera professionale ad honorem a colui che, pur svolgendo uno straordinario lavoro di inchiesta, non veniva vissuto come giornalista, secondo una visione curiosa di tale attività. Anzi. Insieme a Bartoli si sono mosse la federazione nazionale della stampa e l’omologa organizzazione internazionale. Insomma, quell’alibi patetico è caduto e - se mai- Bartoli ha rammentato come negli Stati uniti si cerchi al contrario di evitare la separatezza tra chi è professionista e chi non lo è.
Ugualmente, è destituita di ogni fondamento l’argomentazione malvagia in base alla quale sarebbero stati rivelati materiali top secret con l’esposizione al rischio di persone coinvolte. Nei suoi testi che hanno seguito con preziosa continuità la tragedia che si perpetrava, Stefania Maurizi ha ben chiarito che WikiLeaks usava accorgimenti cautelativi accuratissimi. Proprio la Maurizi ha avuto numerose citazioni da parte di chi è intervenuto e ha destato meraviglia non vederla sul banco della presidenza del convegno. Posto che sarebbe spettato anche alla FNSI. Comunque, la vicedirettora de Il Fatto quotidiano Maddalena Oliva ha valorizzato l’impegno della collaboratrice del giornale, che ha offerto a lettrici e lettori un panorama di notizie altrove non rinvenibile. Salvo, il manifesto, ha chiarito la Oliva. E salvo Avvenire, va aggiunto per chiarezza.
Del resto, il gruppo di testate che ha pure sfruttato le primizie di WikiLeaks prima dei richiami dell’amico americano, si è poi voltato dall’altra parte.
Eppure, non si ancora capito negli stessi ambienti paludati e prudentissimi (eufemismo) che la costruzione del nemico è un’antica tecnica del potere. Se oggi è Assange a venire colpito, domani può capitare a chiunque.
Ecco perché iniziative come quella di ieri (preceduta la mattina da una conferenza all’università Sapienza di Roma e seguita da un dibattito la sera a Bologna) sono essenziali per cementare un movimento di opinione, un’opinione in movimento.
Stella Moris ha parlato dell’attesa dell’appello presso le corti del Regno unito. Non sono rinvii, bensì forme di tortura e già una condanna a morte.

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