CULTURA

Crispr, una piattaforma versatile per correggere gli errori del Dna

A COLLOQUIO CON LO SCIENZIATO LUIGI NALDINI, UNO DEGLI ORGANIZZATORI DELLA CONFERENZA
ANDREA CAPOCCI gb/londra

Quello che si apre domani nell’avveniristica sede del Francis Crick Institute di Londra è la terza edizione del Summit on Human Genome editing dopo quelle del 2015 (Washington) e del 2018 (Hong Kong). Scienziati, filosofi e pazienti si incontrano per aggiornare le linee guida bioetiche per l’uso delle biotecnologie, che negli ultimi anni hanno subito un’accelerazione vertiginosa. Il balzo in avanti è stato permesso da una tecnica denominata «Crispr» e ispirata al sistema immunitario dei batteri, con cui è possibile «tagliare» il Dna di un gene difettoso per disattivarlo. Con questa semplice e economica procedura, intervenire sul Dna è diventato assai più facile di prima. Forse troppo facile, è il timore di molti: il summit del 2018 fu sconvolto dall’annuncio della nascita di tre bambine geneticamente modificate per renderle immuni dall’Hiv. Una sperimentazione prematura e avvenuta al di fuori di regole condivise che portò dietro le sbarre Jiankui He, lo scienziato cinese responsabile dell’intervento, e rivelò al mondo rischi e opportunità delle nuove biotecnologie.
LA RICERCA CLINICA invece richiede tempo e cautela. «I primi studi controllati sui pazienti di terapie basate su Crispr però sono già iniziati con risultati promettenti» spiega Luigi Naldini, che studia le nuove terapie geniche all’istituto San Raffaele-Telethon di Milano. «Ad esempio, nella cura dell’anemia falciforme (una grave malattia congenita del sangue che in Italia colpisce tra le 2500 e le 4000 persone ma che negli stati dell’Africa centrale riguarda fino al 30% della popolazione, ndr): ci sono ancora dubbi sull’impatto a lungo termine ma i risultati sul breve periodo sono incoraggianti. Anche per l’amiloidosi ereditaria da transtiretina, una malattia del fegato, ci sono evidenze positive». In futuro la tecnica potrebbe essere usata in modo più raffinato. «Crispr è una piattaforma versatile. Nascono tecniche in grado non solo di disattivare i geni, ma anche di correggerli», un po’ come si fa con i testi al computer.
NALDINI FA PARTE del comitato organizzatore del summit, unico italiano in mezzo a premi Nobel come Paul Baltimore o Jennifer Doudna, una delle scopritrici di Crispr. C’è il timore che si ripeta un nuovo caso come quello delle bambine cinesi? «Credo ci sia una maggiore consapevolezza dei limiti della tecnologia – dice Naldini – Non è ancora sicura al 100%, ora sappiamo che il taglio del Dna può causare modifiche non desiderate e alterazioni genetiche prima trascurate. È un problema anche per le terapie geniche sugli adulti, ma pone enormi limiti alle applicazioni sugli embrioni. Ci sono stati importanti pronunciamenti, anche da parte dell’Oms, per stabilire i limiti di queste applicazioni».
C’è poi il tema dell’accesso alle cure: le ultime terapie geniche autorizzate costano due o tre milioni di euro a trattamento. Questo può renderle inaccessibili ai pazienti e scoraggiare le società farmaceutiche dall’intraprendere il faticoso percorso di sperimentazione.
«È IL TEMA PRINCIPALE dal punto di vista etico – sostiene Naldini –, Come per le terapie geniche tradizionali, anche per Crispr l’accesso potrebbe rimanere molto difficile. Invece, queste cure potrebbero aiutare soprattutto i paesi privi di grandi strutture cliniche dato che richiedono pochi interventi. Abbassare il prezzo di mercato non basta, perché allontana i privati dagli investimenti. Una strada alternativa è facilitare il percorso di autorizzazione, puntando sulla valutazione della piattaforma e non del singolo farmaco. Occorre poi immaginare modelli diversi, basati sul finanziamento pubblico e sul coinvolgimento di enti no-profit nello sviluppo farmaceutico».
AN. CAP.

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