SOCIETA

Pestaggio nel carcere di Ivrea, un passo verso il processo

PATRIZIO GONNELLA*ITALIA/ivrea

Questa volta non potremmo chiamarla tortura in un’aula di tribunale. I fatti accaduti nel carcere di Ivrea risalgono infatti a un periodo – 2015 e 2016 – in cui non vi era nel codice penale alcuna norma che proibisse esplicitamente la tortura, così come il diritto internazionale imponeva da decenni e Cesare Beccaria suggeriva dal lontano 1764. Il crimine di tortura fu introdotto nel codice penale solo nel 2017. In sintesi si tratterebbe di pestaggi commessi da un gruppo di poliziotti penitenziari. Sarebbe stata usata a tal fine una cella ‘liscia’ collocata nel reparto isolamento dell’istituto. Il medico, sempre secondo gli investigatori, pare fosse presente durante le violenze, o comunque a conoscenza dei fatti, e non si sarebbe attivato in alcun modo. Successivamente, plausibilmente allo scopo di precostituirsi delle prove a discolpa del proprio operato, sarebbe stata prodotta una documentazione falsa: le lesioni del detenuto sarebbero il frutto di una caduta accidentale. Ricostruzioni artefatte, come in tanti altri episodi, come nel caso di Stefano Cucchi. Dopo le segnalazioni di Antigone e dei Garanti territoriali, sia il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt) che il Garante Nazionale si recarono in visita al carcere di Ivrea. Quest’ultimo confermò la presenza di una cella liscia presente all'interno della sezione di isolamento che risultava essere stata usata per finalità di contenimento. Il Cpt chiese spiegazioni al governo italiano a proposito di non poche segnalazioni di maltrattamenti che sarebbero avvenute nel carcere piemontese.
Ieri, dopo tanti anni, è stato fatto un passo verso il rinvio a giudizio di ben ventotto operatori penitenziari. La quasi totalità è composta da agenti. Perché è passato tanto tempo? Negli anni successivi alle denunce, in mancanza di indagini e di fronte a due richieste di archiviazione, ci fu, tra le altre, anche l’opposizione di Antigone alla definitiva chiusura del procedimento. Fortunatamente il Procuratore generale presso la Procura di Torino accolse la richiesta di avocazione delle indagini. A settembre scorso furono notificati i primi avvisi di garanzia e oggi un altro step di questa interminabile giudizio è stato costruito. I pm chiedono che si proceda per lesioni e falso. Ovviamente il rischio di prescrizione è dietro i cancelli del carcere. Corre, e dunque, devono anche correre i giudici per arrivare a sentenza.
Quattro considerazioni a margine di questa storia triste di violenza che la rendono paradigmatica. 1) Ogniqualvolta vi è un episodio di violenza c’è qualcuno che falsifica gli atti o prova a manipolare la verità. Per questo le direzioni delle carceri e i medici dovrebbero avere massima cura nella gestione dei registri interni. 2) Sarebbe necessario prevedere in ogni Procura un nucleo di agenti specializzato nelle violenze commesse da esponenti delle forze dell’ordine, così come fece la procura napoletana ai tempi in cui a capo vi era l’attuale Procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo. In questo modo si eviterebbero quelle inerzie probabilmente date dalla colleganza professionale 3) I reparti più a rischio di violenze sono quelli dove viene praticato l’isolamento che è, a sua volta, una pratica fortemente lesiva dei diritti fondamentali. Le celle lisce, si spera, siano per sempre un ricordo del passato. 4) Le violenze vengono dissuase e represse anche grazie alle videocamere. Ad Ivrea allora non c’erano. In altri casi e in altri processi (si pensi Monza o santa Maria Capua Vetere) invece le immagini sono state determinanti. Sarebbe auspicabile che siano operative dappertutto e abbiano memoria lunga.
* presidente Antigone

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