INSERTO SPECIALE

La quotidianità oltre le macerie

I registi Piotr Pawlus e Tomasz Wolski raccontano il film «In Ukraine», presentato alla Berlinale
LUCREZIA ERCOLANIucraina

La rappresentazione della guerra attraverso le immagini è anch'esso un campo di battaglia, dove il punto di vista di chi direziona la camera chiede di essere esplicitato per cogliere il messaggio di una visione che rimane sempre parziale, ma che tendiamo facilmente a considerare verità. Piotr Pawlus e Tomasz Wolski hanno scelto un approccio non ordinario: nel loro In Ukraine, presentato in questi giorni alla Berlinale, non ci sono i momenti caldi al fronte, i fumi dei bombardamenti o gli incontri tra capi di Stato. La loro è una controstoria che mette al centro la popolazione e gli effetti della distruzione sul paesaggio e sulla quotidianità. La vita, come la vegetazione, si riorganizza in fretta intorno alle macerie, una resistenza silenziosa ma inarrestabile che appare nelle intense inquadrature dei registi polacchi, in un’atmosfera talvolta surreale e persino poetica.
Come si è svolto il processo delle riprese?
Piotr Pawlus: Ho viaggiato per tutta l'Ucraina, dal sud in città come Odessa e Nikolaev passando per la regione di Kiev fino all’area a est, vicino al fronte. Sono tornato più volte, la prima a marzo e l’ultima a dicembre. Ho conosciuto persone molto amichevoli, essendo polacchi parliamo una lingua simile e ci identifichiamo facilmente con gli ucraini, ma girare non è semplicissimo perché in molti hanno una camera e c'è a volte paura che si filmi per spionaggio. Il mio approccio comunque è stato quello di mettermi in osservazione delle situazioni. Ad esempio, ho dormito in una stazione della metro dove è stato organizzato un rifugio e una mensa per circa una settimana, filmando come la vita vi si svolgeva. Oppure, in un paese abbandonato ho incrociato un carrarmato distrutto, avevo la sensazione che qualcosa sarebbe avvenuto e allora sono stato lì ore ad aspettare, improvvisamente hanno iniziato a presentarsi dei bambini e ho potuto filmare il loro approccio con quel relitto.
Qual era l’obiettivo del film?
Tomasz Wolski: Al contrario delle news che vediamo tutti i giorni volevamo concentrarci sulla vita quotidiana e mostrare come gli ucraini stanno affrontando una situazione così fuori dall'ordinario. Come sappiamo gli esseri umani si adattano a condizioni anche estreme e gli ucraini non fanno eccezione, d'altronde non hanno scelta. Vanno a fare la spesa, giocano con i bambini, vanno al bar, insomma provano ad avere una vita normale in questa condizione che non lo è. Il nostro obiettivo non era cambiare il modo di vedere del pubblico, quanto piuttosto fargli passare 82 minuti nell'Ucraina in guerra. Ci piacerebbe se si chiedessero: cosa farei in questa situazione? Come reagirei? Volevamo parlare della realtà e portare gli spettatori dalla zona comfort alla zona di guerra.
Avete scelto un’angolazione insolita da cui osservare il conflitto, mostrate i suoi effetti ma non lo svolgimento sul campo.
Wolski: Lavoriamo in maniera completamente diversa dai giornalisti, i notiziari sono composti da riprese che durano cinque o dieci secondi, devono avere un impatto immediato su chi guarda e per questo sono spesso immagini estreme. Mostrando così tanta violenza però l'effetto è quello dell'abitudine e bisognerà quindi proporre qualcosa di sempre più forte. Ma cos'è più forte di vedere persone uccise? È una strada senza uscita, per questo abbiamo scelto di non inserire nessuna scena violenta. Ma la brutalità si vede e si percepisce comunque, anzi credo che l'inumanità dell'aggressione sia ancora più forte nel momento in cui rimane sullo sfondo rispetto alla strada di mostrarla direttamente.
Qual è il ruolo del cinema in un contesto come questo?
Wolski: Credo sia sempre lo stesso, raccontare la realtà e i suoi problemi. In un certo senso è una battaglia senza fine, la guerra in Ucraina c'è dal 2014 ed era già stata trattata in molti film ma questo non ha evitato il peggio. Eppure siamo chiamati a mostrare ancora e ancora come è brutale e inumano uccidere le persone, distruggere le loro case o fare loro del male, sperando che il pubblico si faccia delle domande.
La guerra è iniziata da un anno, cosa vi aspettate ora?
Wolski: Non possiamo saperlo, se guardiamo alla storia, ad esempio alla Seconda guerra mondiale, tutti si aspettavano che sarebbe finita in una settimana o in un mese e invece ci sono voluti più di cinque anni. Non sappiamo dove l'ego di Putin si spingerà, non sappiamo quanto l'Unione europea sosterrà ancora l'Ucraina. Quello che vorremmo è che la guerra finisse in questo istante, ma visto che non è così semplice, per noi l'Ucraina deve continuare ad essere aiutata.

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