CULTURA

Alla lettura oggi ci pensa #BookTok

Express
MARIA TERESA CARBONEUSA

All’interno della campagna sociale e social «Mediaset ha a cuore il futuro» sui canali berlusconiani sta andando in onda un breve video di promozione della lettura. Intitolata Leggere: una buona abitudine, la clip si basa sull’idea che in una casa dove i genitori leggono, anche i figli forse non considereranno i libri solo come supporti per tavolini traballanti. Il tono è accattivante, il «messaggio» condivisibile, e sorvoliamo sul fatto che nel video di libri se ne vedono pochini, meglio non esagerare.
Resta però una domanda: quanti genitori saranno spinti a leggere, da soli e ai loro figli, da questa clip? O in altri termini, è davvero possibile «promuovere» la lettura? È una questione che viene posta da anni, da quando ci si è accorti che – a dispetto di tassi di alfabetizzazione mai raggiunti finora – il numero delle persone che leggono (libri, non messaggi whatsapp) non fa che calare, anche in paesi di tradizione salda in questo campo, e figurarsi in Italia, dove il numero dei leggenti abituali, i cosiddetti «lettori forti», non ha mai superato il dieci per cento.
Ma oggi, a promuovere la lettura, ci pensa #BookTok! E lo diciamo, anzi lo ripetiamo, senza ironia, soprattutto ora, dopo avere letto su LitHub un intervento della scrittrice statunitense Leigh Stein, il cui titolo non lascia dubbi: BookTok is Good, Actually: On the Undersung Joys of a Vast and Multifarious Platform, cioè «Pensate quello che volete, ma BookTok è buono. Ovvero, le gioie trascurate di una piattaforma vasta e multiforme». (A chi è rimasto prigioniero dentro il castello della bella addormentata negli ultimi due anni spieghiamo, attingendo da Wikipedia, versione anglofona, che «BookTok è una sottocomunità dell’app TikTok, incentrata sui libri e sulla letteratura. I creators – ahimè, si dice così anche in italiano, ndr – realizzano video in cui recensiscono, discutono e scherzano sui libri che leggono. I libri sono di vario genere, ma molti creators tendono a concentrarsi sulla narrativa per adolescenti, sul fantasy e sulle storie d’amore. Si ritiene che la comunità abbia avuto un impatto sull’industria editoriale e sulle vendite di libri. I creators di questa comunità sono noti anche come BookTokers»).
La testimonianza di Stein è tanto più interessante perché all’apparenza i suoi libri – fra l’altro una raccolta di poesia, What to Miss When (Soft Skull Press, 2021) e un romanzo satirico bene accolto dalla critica, Self Care (Penguin, 2020) – sono lontani dai generi amati dai booktokers. Ma ai detrattori della comunità, a coloro che la considerano «superficiale, fasulla, esibizionista» e si fanno un punto d’onore di non aver mai sentito nominare la bestsellerista Colleen Hoover (800mila copie vendute il giorno della pubblicazione di It starts with us, il suo ultimo romanzo, grazie naturalmente a #BookTok), la scrittrice oppone un quadro ben più variegato sulla base di un’esperienza quotidiana di diversi mesi.
Come esempio, Stein cita un suo video dedicato ai libri della poetessa e saggista Mary Ruefle (tradotta in italiano per NN), che ha ottenuto 40mila visualizzazioni, suscitando commenti entusiastici e commossi. Ma più ancora a colpire è il suo resoconto dal primo BookTok Festival, che si è tenuto il 4 febbraio a New York, presso la libreria Barnes & Noble di Union Square: biglietti esauriti in due giorni, lunghe code davanti ai tavoli degli editori, lettrici e lettori felici di ricevere copie-omaggio astutamente messe a disposizione dai succitati editori per avere molta pubblicità a poco prezzo.
Ne viene fuori un’idea di promozione della lettura per contagio, decisamente più credibile rispetto alla linda clip di Mediaset. E lo slogan è pronto: Lettori di tutto il mondo, uniamoci su BookTok!

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