VISIONI

Dio non è qui: la violenza rivelata nelle stanze di tortura

FORUM
CRISTINA PICCINOgermania/berlino

«Questo lavoro mi ha aiutato a de-costruire le mie fantasie sul sistema, come spero accadrà anche al pubblico. I regimi autoritari alimentano tali fantasie attraverso voci sia verbalizzate che non dette, nonché attraverso l’esistenza di luoghi nascosti, come stanze di tortura e celle di isolamento. Ci sono anche individui misteriosi quali informatori, torturatori o scagnozzi, figure reclutate dal regime per reprimere o uccidere coloro che lo sfidano. Infine, esiste allo stesso tempo un mondo immaginario di eroi che riescono a resistere nonostante tutto. Ma quali sono i meccanismi concreti che permettono loro di sopportare l’inevitabile solitudine e il dolore?». In questa domanda Mehran Tamadon esprime l’esigenza alla base del suo film, Where God is Not – presentato al Forum. Il titolo anche è evidente: dove dio non c’è: ma dove? Siamo a Parigi, in uno spazio vuoto nel quale di spalle una donna, Homa Kalhori, sta dipingendo delle sbarre sul muro, mentre il regista è impegnato a costruire una sorta di cella: lei lo guida, lo corregge., più stretto lì, ancora meno spazio là. È la memoria della sua esperienza che la guida, del tempo vissuto e condiviso con altre decine di ragazze chiuse in una cella minuscola, dove si faceva a turno per dormire, e sdradiarsi, e dove piano piano ciascuna portava qualcosa di sé, i suoi dolori, la morte di un compagno, ma anche dei momenti di canzoni, di condivisione, di una complicità che permetteva loro di resistere.
LA DONNA piange ricordando e rivivendo i gesti di quel tempo. È questo processo di rimessa in scena di ciò che ciascuno ha vissuto nelle prigioni iraniane, Evin in particolare che il regista chiede alle diverse persone che incontra nel film, ognuna con una storia di prigionia, di violenza del regime, di carcere, torture, atrocità. Più che S21 di Rithy Pahn, dove davanti alla macchina da presa c’erano i carnefici, il suo lavoro ricorda quello della coppia di registi libanesi XX, in XX, che affidano alla memoria dei loro interlocutori il racconto del carcere israeliano poi dismesso.
Qui il luogo è ricostruito anch’esso oltre alle parole, nella distanza di un’altra realtà, e naturalmente in quella personale, in una tensione che è anche la lotta emozionale del presente rispetto al ricordo. Sono personaggi ma quelle sono le loro esperienze dolorosissime; costruire un lettino e mostrare come si era torturati con le scosse elettriche fa male, l’uomo si agita – mi bruciano i piedi dice al regista – poi entra nei dettagli, è preciso, minuzioso, contesta persino la forma della brandina. C’è in questo vissuto che si fa davanti alla macchina da presa narrazione qualcosa di potente, il sentimento di una violenza universale che interroga il senso del cinema stesso, di questo dispositivo, di una forse impossibile catarsi.
C.PI.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it