INTERNAZIONALE

Buio, fame e freddo. Vita «primordiale» nel Donbass assediato

Reportage da Siversk, cittadina al confine fra le regioni di Lugansk e Donetsk, dove la cosa più preziosa è la legna per scaldarsi
SABATO ANGIERIUCRAINA/SIVERSK (DONBASS)

«Batterie, torce» ripetono le donne che ci circondano non appena scendiamo dalla macchina. Siamo a Siversk, lungo il vecchio confine tra le regioni di Donetsk e Lugansk. Dopo la caduta di Soledar la strada a sud-est è impraticabile e dallo stesso tratto di statale accidentata e ghiacciata passano gli aiuti umanitari, i mezzi militari e le ambulanze.
Il gruppo si arrabbia perché neanche oggi hanno portato le batterie, «non capiscono niente, glielo diciamo ogni volta». “Loro” sono i volontari delle associazioni umanitarie o gli addetti dell’amministrazione locale. A dire la verità senza questi ultimi i civili che non vogliono andarsene dai villaggi vicini al fronte resterebbero senza cibo o acqua potabile e quindi il loro operato è, di fatto, vitale. Addirittura a Toretsk qualche giorno fa è arrivato un camion carico di legna da ardere e in breve tempo si è creata una sorta di catena umana che la caricava su un sidecar per portarla nelle case ancora abitate. Per non parlare dei temerari che entrano a Bakhmut al buio e a fari spenti per non essere identificati come bersaglio. Insomma, una rete di supporto a queste persone c’è, forse non funziona come vorrebbero gli assistiti, ma non si può non riconoscere che gli permette di sopravvivere.
ANCHE PERCHÉ in alcuni di questi villaggi esistono ancora degli alimentari che lavorano, magari non tutti i giorni e con una varietà di prodotti ridotta all’essenziale ma ci sono. Solo che in questo caso servirebbero i soldi. Infatti, Anton, passando dal cortile del comprensorio si ferma per chiedere una mano. Alla domanda «cosa ti manca di più?», incredibilmente la risposta è «i soldi». Anton non percepisce la pensione e dice di arrangiarsi come può. «Ogni tanto faccio qualche lavoretto e mi danno qualcosa, ma è sempre troppo poco». Ora, per esempio, avrebbe bisogno di un buon paio di scarpe per la neve, «il problema è che ho 46, i volontari non le portano mai così grandi».
A POCA DISTANZA una squadra di soldati sta tagliando la legna. Un uomo affila i denti della lama della motosega tutti storti per il troppo lavoro mentre altri tre rimpiccioliscono i tronchi a colpi di accetta. Altri soldati si incaricano di raccogliere i ciocchi e accatastarli. La scena di per sé non ha nulla di speciale se non fosse che l’aria intorno trema in continuazione per i colpi che l’artiglieria ucraina spara verso i russi e che siamo a Siversk. Senza quella legna anche i soldati morirebbero di freddo e infatti uno di loro ci spiega che quando un reparto dà il cambio all’altro si deve far trovare ai nuovi venuti una piccola scorta per dargli il tempo di sistemarsi. Sui muretti accanto ai portoni d’ingresso dei palazzi, alcuni civili fanno la stessa cosa, con pezzi più piccoli e generalmente da soli o in coppia. Tra le attività quotidiane la raccolta e il taglio del legno in dimensioni adeguate per il proprio braciere è un’altra operazione che serve a sopravvivere. Incredibile quanto in questi villaggi a volte si abbia l’impressione di una sorta di ritorno alla preistoria dell’uomo. Sembra banale, ma osservando queste persone non si può non pensare al fatto che in queste aree scaldarsi, mangiare e bere perdono tutti i fronzoli della civiltà fino a tornare a una sorta di valore primordiale. Lontano dai ristoranti che hanno riaperto a Odessa, a Kiev o addirittura a Kramatorsk qui mangiare non è un atto sociale o un diversivo serale, ma una questione di vita e di morte legata, nei casi più estremi, all’arrivo o meno di un furgone carico di pane e scatolette.
EPPURE, QUANDO fa buio alle 5 del pomeriggio e fino alla mattina dopo si resta rintanati in uno scantinato, avere un po’ di luce diventa effettivamente un bisogno primario. Ogni tanto i militari che si recano fuori città tornano con pacchi di candele, altre volte si risolve con dei fuocherelli in bracieri improvvisati, ma sono inadatte o temporanee. Si consideri anche che i negozi che ancora vendono le lampade frontali, quelle da campeggio con l’elastico che permette di tenerle sulla fronte, oltre a essere lontani dal fronte hanno aumentato i prezzi di almeno 3 o 4 volte. Il più delle volte, però, si resta al buio in attesa.
C’È CHI MALEDICE i militari perché «proprio da qui devono sparare?», come Katia; chi (sempre meno) accusa il governo ucraino con le parole della propaganda russa; chi odia tutti compresi i giornalisti e urla insulti mentre passa; e poi c’è chi si è rassegnato e ogni giorno esce a raccogliere pezzetti di legno per sopravvivere un’altra notte. Sempre più lontano dalla speranza e sempre più vicino alla follia.

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