Occhi puntati sulla Svezia, che oggi vota per eleggere il nuovo parlamento, oltre che i consigli regionali e comunali. Mentre Fox News e Russia Today insistono nel rappresentare il paese scandinavo come in preda al caos sociale, in Svezia la campagna elettorale ha mantenuto toni più sfumati. Gli ultimi sondaggi mostrano che quasi tutti i partiti tradizionali sono in calo. È invece quasi certa un’avanzata importante dei Democratici di Svezia, il partito di destra nazionalista che negli ultimi anni ha cercato di mettere in sordina la propria origine neonazista e di presentarsi agli elettori con un programma più “moderato”, abbandonando riferimenti espliciti al razzismo biologico ed ergendosi a difensore dell’identità nazionale svedese.
COME È STATO POSSIBILE che un paese noto per il suo progressismo e il suo modello consensuale di risoluzione del conflitto sociale si ritrovi oggi un elettorato sempre più incline a votare per l’estrema destra? La risposta varia a seconda della prospettiva politica. La crescita dell’immigrazione, e l’apertura dimostrata dal governo svedese in una prima fase della “crisi dei rifugiati”, è indicata come principale motivo dello scontento dell’elettorato dai Democratici di Svezia, che insistono sul costo dell’accoglienza, sulle difficoltà di integrazione e sull’aumento della criminalità.
In realtà il governo, dopo alcuni mesi di apertura, già alla fine del 2015 ha annunciato una stretta, determinando un drastico calo del numero di richiedenti asilo (dai 163mila del 2015 ai 23mila previsti quest’anno): lo scorso maggio, il primo ministro socialdemocratico Stefan Löfvén ha poi annunciato un pacchetto immigrazione ancora più restrittivo, soprattutto in termini di accesso al welfare.
La fase di “apertura delle frontiere” è durata dunque molto meno di quanto si pensi. Gli scenari da scontro di civiltà che paventano la creazione di no go zones e di quartieri governati dalla legge coranica sono puro frutto della propaganda nazionalista. Per quanto riguarda le politiche di integrazione, sicuramente c’è strada da fare sul fronte della discriminazione lavorativa: seppure in calo, la disoccupazione tra i nati all’estero resta molto più alta che tra la popolazione attiva nata in Svezia (21% contro 4% a febbraio 2018).
Si può, in definitiva, dire che l’immigrazione è stata finora la causa principale del voto ai Democratici di Svezia? No, ci suggeriscono i risultati di un recente studio. Il partito di estrema destra ha avuto un’impennata tra il 2006 e il 2014 (dal 2,9% al 12,9%), quindi prima della “crisi dei rifugiati”. L’aumento dei consensi per l’estrema destra non sarebbe correlato alla presenza locale di immigrati, bensì a due variabili economiche: l’aumento della disuguaglianza e la proporzione di lavoratori “vulnerabili” (meno qualificati e più esposti agli effetti della crisi). L’aumento della disuguaglianza è principalmente dovuto a una serie di riforme dei governi conservatori tra il 2002 e il 2014 (riduzione delle tasse e della spesa sociale, per “incentivare l’occupazione”).
ANCHE SE RIMANE un paese relativamente egualitario, la Svezia è uno dei paesi Ocse in cui a partire dagli anni Ottanta la disuguaglianza è aumentata di più, mentre gli effetti redistributivi del fisco si sono ridotti a causa delle riforme degli anni novanta.
Proprio sul tema delle disuguaglianze economiche, si levano le principali voci critiche all’interno della sinistra svedese: «Alla radice dei problemi oggi non c’è l’immigrazione, ma le crescenti differenze di classe», dicono Åsa Linderborg e Göran Greider, editorialisti e autori di un Manifesto populista in cui invitano i partiti di sinistra a recuperare radicalità.
Katalys, un think tank vicino ai sindacati, ha pubblicato una serie di studi sulle disuguaglianze intitolata, in modo eloquente, La classe in Svezia, dove si conclude che «lo spazio per politiche progressiste resta ampio, ma riprendere posto al centro del dibattito politico e riguadagnare la fiducia della classe lavoratrice non sarà semplice».
IN EFFETTI, I PARTITI di governo non perdono voti solo a favore delle destre: anche il Vänsterpartiet (partito di sinistra, ex-comunista) è in forte crescita, con un possibile 10% dei voti, presentandosi con una piattaforma politica tutta concentrata sulla lotta alle disuguaglianze («una Svezia per tutti, non solo per i più ricchi» è il loro slogan che occhieggia a Corbyn) e al tempo stesso antirazzista. Anche il risultato della sinistra radicale, dunque, contribuirà alla ricostruzione di nuovi equilibri politici dopo quello che si annuncia come un piccolo terremoto elettorale.