INTERNAZIONALE

Si impenna la coltivazione del papavero, e la giunta ci guadagna

IL REPORT DELL’ONU SUL MYANMAR
ALESSANDRO DE PASCALEMYANMAR

L’Ufficio delle Nazioni unite contro la droga e il crimine (Unodc) stima che in Myanmar «la coltivazione del papavero da oppio sia aumentata del 33%» nel 2022 rispetto all’anno precedente. Ovvero «nella prima stagione che segue il golpe militare del febbraio 2021» e «l’inversione della tendenza al ribasso iniziata nel 2014». A dirlo è l’annuale report sul Myanmar presentato a fine gennaio.
IL RAPPRESENTANTE regionale dell’Unodc, Jeremy Douglas, ha pochi dubbi: «Il crollo economico, della sicurezza e della governance seguiti alla presa militare del potere hanno portato gli agricoltori delle aree remote, spesso soggette a conflitti, come lo Shan settentrionale e gli stati di confine, a non avere altra scelta che tornare all’oppio». Insomma una necessità, secondo l’apposito ufficio Onu. Nel 2022 sarebbero stati ben 40.100 gli ettari coltivati a papavero da oppio, circa 10.000 in più rispetto all’anno precedente. Con l’eradicazione delle piante che «sembra essere diminuita del 70% su base annua». Inoltre, quei campi «in passato erano piccoli, mal organizzati, lontani da villaggi e strade, con una densità di coltivazione relativamente bassa rispetto alla maggior parte delle altre colture commerciali lecite». Mentre ora «la ricerca sul campo ha identificato, in alcune regioni, appezzamenti ben organizzati e ad alto rendimento».
Nello Stato dello Shan, che «rappresenta l’84% dell’area totale stimata coltivata a papavero, il raccolto è approssimativamente raddoppiato rispetto al 2021 raggiungendo le circa 670 tonnellate», a fronte di una «produzione nazionale potenziale» ritenuta nel 2022 di «circa 790 tonnellate».
SIAMO nel cosiddetto Triangolo D’Oro (zona montuosa a cavallo tra Myanmar, Laos e Thailandia), per decenni del secolo scorso leader incontrastato dell’oppio a livello mondiale. Fino alla notevole riduzione osservata tra il 2000 e il 2006, a favore dello spostamento della produzione verso l’Afghanistan sotto occupazione Nato. Il quale nel 2007, con 8.200 tonnellate d’oppio, garantì da solo il 130% del fabbisogno mondiale. A dirigere l’Unodc c’era in quegli anni l’italiano Antonio Maria Costa (in carica dal 2002 al 2010). «Nel caso del Triangolo d’Oro il crollo della produzione fu una scelta deliberata da parte delle autorità», ricorda lui stesso al manifesto. «La Thailandia con un preciso impegno praticamente azzerò le coltivazioni. Si ridussero anche in Laos per la forte presenza militare e un regime che si è imposto sulle popolazioni contadine locali. Lo stesso in Myanmar, dove le coltivazioni non sono nelle zone di maggior ricchezza dal punto di vista della produttività agricola, ma principalmente nelle aree dell’est del Paese con una forte predominanza cinese. Un’area oggi di insorti e milizie individuali, dove la malavita, in parte organizzata e in parte spontanea, è molto forte. Ecco perché, da quando è caduto il governo di Aung San Suu Kyi che godeva di un certo rispetto, dopo il calo c’è stata una ripresa», rileva Costa.
NELL’EX BIRMANIA, da sempre maggiore Paese produttore del Triangolo d’Oro, «i militari sostengono malavita e corruzione. Il Myanmar oggi è boicottato, non commercia, non produce, l’opinione pubblica e anche la popolazione più semplice reagisce alla giunta. La necessità di reperire fondi potrebbe quindi far accettare ai militari le coltivazioni, visto che loro ne prendono una parte». Ma questo, per l’ex direttore dell’Unodc, «è un capitolo ancora tutto da scrivere: dipenderà da quanto succede o succederà in Afghanistan, dove i talebani di nuovo il potere hanno sul papavero da oppio un atteggiamento estremamente equivoco, che avevano già mantenuto nel 2007-2008 quand’erano in lotta contro il governo centrale».

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it