VISIONI

La magia di Steven Soderbergh nella libertà nuda dei corpi

Sugli schermi il terzo film dedicato all’ex spogliarellista Channing Tatum
DONATELLO FUMAROLAUSA

È un cinema altamente sperimentale quello di Steven Soderbergh, eclettico, eccentrico, politico e prolifico come pochi. Mai intrappolato dal dispositivo: che siano le cineprese, gli smartphone o le diverse videocamere con cui ha realizzato i suoi film. Mai soddisfatto della forma che ogni volta muta seguendo le necessità che ogni film esprime in sé, al di là della sua dimensione economica, più o meno spettacolare, più o meno scritta.
COME mettere insieme film tanto diversi come Sesso, bugie e videotape, Full Frontal, Ocean's Eleven, Dietro i candelabri, Che, Panama Papers, Knockout, Magic Mike... (ma l’elenco potrebbe estendersi a tutta la filmografia di Soderbergh) senza essere tentati di ritrovarci dentro almeno dieci autori diversi - e senza tener conto che quasi ogni volta la mano che c'è dietro è almeno trina: quella del regista, del direttore della fotografia e del montatore?
Ridurlo a un registro di riconoscibilità autoriale è pressoché impossibile, talmente è vasto il campo da gioco in cui si cimenta ogni volta, attraversando i generi, sperimentando i dispositivi, le forme della messa in scena e della scrittura filmica. Non è mai dove ci si aspetta che sia. Perché è un esploratore infaticabile. E quando ritorna a territori già visitati è la differenza che sembra interessargli, la possibilità di attraversare la materia trattata da punti di vista diversi, alla ricerca di una complessità di vedute che restituisca il ritmo della complessità del mondo.
Magic Mike – The Last Dance è il terzo capitolo della saga dedicata all'ex spogliarellista di Tampa (Channing Tatum, le cui vicende biografiche hanno ispirato il primo), e non assomiglia che marginalmente ai precedenti (nel secondo Soderbergh era «solo» produttore, montatore e direttore della fotografia, avendo lasciato la regia a Gregory Jacobs). Ancora una volta il plot narrativo è una traccia pretestuosa, è l'occasione per Soderbergh di uscire dai luoghi comuni del cinema per liberarlo a più profonde e flagranti sfere, è una nuova occasione di avvicinarsi a quella paradossale «presa diretta» che il suo cinema sembra inseguire sistematicamente almeno da Girlfriend Experience in poi. Se nel primo film si raccontava, per esempio, la «vita» nella provincia meridionale della Florida al tempo della «crisi» - non lontano, in questo, dal bellissimo Bubble, realizzato in Ohio e West Virginia nel 2005, dove al posto del locale hot per signore c'era la fabbrica - qui la «crisi» è il palcoscenico su cui si danza, e la danza il solo atto vitale e liberatorio attraverso cui superare il concetto stesso di crisi, così connesso alle dinamiche capitaliste da costituirne l'essenza; è la danza che permette di uscire dalle gabbie che ci circondano, a partire da quelle costruite da noi stessi.
SODERBERGH cineasta libertario dunque. Che la libertà se la prende col cinema. Si prende, per esempio, la libertà di non fare recitare i suoi attori ma di farli «vivere» sullo schermo, noncurante degli inceppi e delle incertezze che anzi sembra cercare ossessivamente, esibendoli; attento a come far rivelare i rapporti di forza tra due corpi, tra due sguardi, senza arrivare a dire o spiegare o mostrare, ma suggerendo, giocando, aprendo un campo di possibilità dialettiche, lasciando a chi guarda la libertà di vedere oltre, senza che gli venga additata o indicata la «realtà» (fosse pure solo quella del film) da nessuno.
Soderbergh cineasta antiautoritario. Il suo cinema si spoglia della veste di «autore», calandosi nella materia di cui sono fatti i sentimenti umani con ostinata e dolce radicalità, con sapiente ilarità. Sentimenti che in Magic Mike – The Last Dance non sono mai direttamente espressi, che rivelano la fragilità su cui il film stesso si poggia e che il film fa propria, attraverso parole dette a metà, incertezze espressive, difficoltà emotive, un'opacità comunicativa che viene riscattata dalla danza dei corpi e dei desideri, finalmente (pasti) nudi.

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