CULTURA

Walter Mosley, tutta la grazia del detective della memoria

«GLI ULTIMI GIORNI DI TOLOMEO GREY», PER 21 LETTERE
GUIDO CALDIRONusa

La mente di Tolomeo Grey, «era il nome del padre di Cleopatra» gli aveva detto qualcuno quando era piccolo per spiegargli l’origine di quel bizzarro appellativo, anche se non ne era più del tutto certo, assomiglia alla casa fatiscente in cui il 91enne nero vive in una delle zone più povere del South Central di Los Angeles.
LA RADIO perennemente sintonizzata su una stazione che trasmette musica classica e la tv accesa notte e giorno su un canale di all-news, Pity conduce una sorta di battaglia quotidiana sopravvivendo tra «mucchi di giornali, scatole di ogni misura e forma, e mobili». Il bagno fuori uso da tempo, la cucina ridotta ad un deposito di scatole di sardine, nello stanzone che rappresenta il cuore della casa, dato che la camera da letto è ingombra da anni di ogni sorta di cianfrusaglia, «c’erano almeno una dozzina di sedie, un grande scrittoio inclinato dal lato della gamba rotta, due tavoli da pranzo spinti contro le pareti a sud e a est. Il materasso sbrindellato sotto alla sottile coperta militare si trovava sotto al tavolo a sud». È in questo scenario dell’abbandono che l’uomo, affetto da demenza senile, ma forse anche frutto della solitudine in cui ha passato gli ultimi decenni dopo la morte della moglie Sensia, conduce un’esistenza sospesa tra un presente confuso e annebbiato, un silenzio rotto spesso solo dalle notizie che arrivano dal teleschermo, e il passato della sua infanzia trascorsa nel profondo Sud, il Mississippi del dopoguerra, della segregazione razziale, ma anche quello che aveva nutrito i sogni senza limiti di un bambino curioso e intraprendente cresciuto con le storie dei gangster e delle pupe dalle chiome platinate. Talvolta, la mente di Tolomeo fatica a mettere a fuoco ciò che gli sta accadendo ora, ma non scorda il tempo in cui «i neri vivevano insieme, si conoscevano e parlavano allo stesso modo; ai tempi dei juke joints, dei guanti bianchi e delle ragazze con un sorriso così bello che un ragazzino (come lui) avrebbe fatto le capriole per farsi notare».
C’È TUTTA LA GRAZIA, l’intensità e il coinvolgimento dei quali sa farsi interprete la scrittura di Walter Mosley ne Gli ultimi giorni di Tolomeo Grey (21 lettere, pp. 302, euro 18, traduzione di Andrea Russo); romanzo dal quale è stata tratta anche una serie tv interpretata da Samuel L. Jackson. Se l’autore, nato a Los Angeles nel 1952, fin dall’inizio degli anni Novanta sta riscrivendo alla luce del noir l’epopea amara degli afroamericani - proprio 21 lettere ha riproposto lo scorso anno il classico Il diavolo in blu, prima indagine della principale creatura letteraria di Mosley, l’investigatore privato Easy Rawlins -, in questo caso il gioco si fa ancora più sottile, toccante e, a tratti, decisamente spiazzante. Anche Tolomeo dovrà fare in qualche modo i conti con un mistero da risolvere, dopo che i colpi sparati da un’auto in corsa hanno ucciso suo nipote Reggie, l’unico che a lungo gli fosse stato ancora vicino. Ma la vera indagine che l’uomo compie, e con lui lo stesso Mosley, nelle pagine del libro, è attraverso i frammenti di una memoria che può ritrovare grazie ad un farmaco sperimentale capace però anche di ridurre il tempo che gli resta da vivere. A guidarlo verso una nuova consapevolezza sarà Robyn, una giovane che a 17 anni appare già una sopravvissuta come l’anziano protagonista. Accanto a lei, Tolomeo ritroverà il proprio passato, per altro anche ciò che avrebbe voluto dimenticare per sempre, e si potrà ricongiungere, ma questa volta senza zone d’ombra o inquietudini , con il ragazzino del Mississippi che guardava il mondo con ironia e sorpresa.

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