INTERNAZIONALE

Fede sì, ma nelle armi: festività religiosa nel mirino in Danimarca

PER ARRIVARE AL BUDGET NATO ( 2% DEL PIL), IL GOVERNO VUOLE I DIVIDENDI DI UN GIORNO DI LAVORO IN PIÙ
MARCO SANTOPADREdanimarca

Per rastrellare fondi per la difesa Copenaghen - in prima fila nel sostegno militare all'Ucraina - vuole abolire lo store bededag, il "Grande giorno della preghiera". La socialdemocratica Mette Frederiksen - a capo di una coalizione con liberali e moderati (centrodestra e centro) - ha inserito l'eliminazione della festività nel programma di governo, insieme a tagli fiscali per i redditi più alti. Lo scopo è guadagnare 430 milioni di euro utili a elevare la spesa militare al 2% del Pil – come chiede la Nato – già nel 2030, tre anni prima rispetto a quanto pattuito nella precedente legislatura da socialdemocratici, Partito socialista-popolare, liberali e conservatori.
A GENNAIO un rapporto Nato bacchettava Copenaghen per gli "scarsi investimenti" nelle forze armate, e ora l'esecutivo ha deciso di inviare a Kiev alcuni Leopard1 dopo aver già ceduto 19 obici Caesar di fabbricazione francese. I 4 miliardi che il paese ha speso per la Difesa nel 2022 – l'1% del Pil – sono ritenuti insufficienti per coprire gli aiuti militari all'Ucraina.
Ma nel paese nordico il disegno di legge della maggioranza ha scatenato una vasta opposizione. Secondo un sondaggio il 75% dei danesi è contrario al provvedimento che vuole abolire, dal 2024, la festa tradizionale che cade il quarto venerdì successivo alla domenica di Pasqua, istituita nel lontano 1686. Una petizione online ha raccolto 500 mila firme e il 5 febbraio 50 mila persone – la manifestazione più partecipata dell'ultimo decennio - hanno protestato davanti al Parlamento per chiedere al governo di rinunciare. La chiesa evangelico-luterana, ovviamente, è contraria alla decisione di Frederiksen, ma in piazza c'erano soprattutto i militanti della Confederazione dei Sindacati (Fh), che conta 1,3 milioni di affiliati in un paese di soli 6 milioni di abitanti, insieme a quelli dei partiti di sinistra.
«Non credo sia un problema dover lavorare un giorno in più» ha detto la premier, ma i sindacati difendono il giorno di riposo. «Abbiamo bisogno di tempo per riprenderci fisicamente e mentalmente, e per concentrarci sulle nostre famiglie e su noi stessi» ha spiegato alla tv pubblica Dr un educatore durante la manifestazione.
INOLTRE, denuncia la segretaria generale della Fh Lizette Risgaard, la mossa del governo attacca il "modello danese", nel quale retribuzione e orario di lavoro sono regolati da accordi bilaterali negoziati dalle organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori, senza intervento statale.
Alcuni economisti contestano gli studi governativi, secondo i quali la giornata lavorativa in più permetterebbe di generare maggiori introiti per 3,2 miliardi di corone, attraverso l'aumento delle entrate fiscali e la riduzione dei sussidi. Le risorse rastrellate sarebbero in realtà più scarse, rendendo la misura inutile, oltre che ingiusta. Parte dell'opinione pubblica, infine, rimane contraria all'aumento della spesa militare, nonostante l'avallo di alcuni partiti di sinistra.
Molti manifestanti, domenica, portavano cartelli che recitavano «Dì no alla guerra», preoccupati anche da un recente annuncio del ministro della difesa. Per Jakob Ellemann-Jensen il governo intende imporre la coscrizione militare obbligatoria a estrazione anche alle donne, che finora possono arruolarsi nell'esercito solo su base volontaria.
IL QUOTIDIANO Politiken ha definito un "autogol incomprensibile" il piano della premier, che però insiste nonostante il tracollo della sua popolarità. Già dieci anni fa un altro governo, sempre a guida socialdemocratica, provò a eliminare lo store bededag, ma dovette rinunciare per le proteste.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it