INTERNAZIONALE

«Abbandonati a noi stessi: l’isolamento di Ocalan è l’isolamento di tutti i curdi»

A ROMA IL CORTEO PER IL RILASCIO DEL FONDATORE DEL PKK
CHIARA CRUCIATIkurdistan/ITALIA/ROMA

Avevamo pensato di cancellare il corteo, dice la comunità curda italiana. Poi hanno pensato che marciare, ieri a Roma, era il miglior modo di manifestare solidarietà ai popoli colpiti dal sisma, tra Siria e Turchia, nel cuore del Kurdistan storico. L’occasione era un’altra, un appuntamento annuale: i 24 anni dalla cattura e l’inizio della prigionia del fondatore del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), Abdullah Ocalan, da oltre due decenni in pressoché totale isolamento nell’isola turca di Imrali.
«L’isolamento di Ocalan è lo stesso isolamento subito del popolo curdo, che non sta morendo di sisma ma per le politiche dello stato turco – ci spiega Merivan, rappresentante del movimento delle donne Jineoloji – Ho parlato con persone che per giorni hanno ricevuto messaggi dai familiari sotto le macerie, chiedevano aiuto. Ora non ne ricevono più, persone che non state nemmeno cercate. È una tortura».
INTORNO A MERIVAN, Piazza dell’Esquilino a Roma si riempie di persone e bandiere. Quelle rosse del Pkk, quelle gialle e verdi delle unità popolari di autodifesa del Rojava, Ypg e Ypj, quelle viola del movimento di liberazione delle donne. E poi i vessilli dei partiti e delle organizzazioni che, come ogni anno, garantiscono la propria vicinanza: Anpi, Cobas, Rifondazione comunista, Potere al Popolo. Ci sono anche gli anarchici e gli striscioni che da settimane si incontrano per le strade italiane, la liberazione di Alfredo Cospito e la battaglia contro il 41bis. E sventolano anche le bandiere palestinesi, «perché siamo popoli che combattono lo stesso nemico e la negazione dello stesso diritto all’autodeterminazione», dice Yousef Salman, della comunità palestinese di Roma.
Prima della partenza del corteo, un banchetto vende magliette e libri e raccoglie i fondi per la Mezzaluna rossa curda: «Verranno mandati tra Siria e Turchia, sia in Rojava che in Bakur – ci spiega Tiziano – Qui, nel Kurdistan turco, la Mezzaluna sta già operando: ha allestito tende e sta distribuendo aiuti, cucina pasti caldi».
Una pezza all’assenza dello Stato turco: «Nelle zone curde il governo non ha inviato quasi niente, né squadre di soccorso né equipaggiamento – continua Merivan – L’unica presenza delle istituzioni è data dal tentativo di legare le mani alle organizzazioni di base, impedendogli di gestire gli aiuti».
Mentre dal camioncino che apre il corteo ai discorsi si intramezza musica curda, Tiziano racconta di Afrin e Jinderes, nella Siria del nord: ieri a 120 ore dal sisma «hanno smesso di cercare: è tecnicamente impossibile trovare sopravvissuti. Nessuno in sei giorni ha raggiunto l’area. Ad Afrin e Idlib operano i Caschi bianchi che nella prima sono legati alla Turchia e nella seconda al qaedista Hay’at Tahrir al-Sham. E, seppure siano i turchi a occupare queste terre, non hanno mandato nessun aiuto. La ricerca dei sopravvissuti è stata delegata alla popolazione».
A MUOVERSI subito anche l’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est, espressione politica del confederalismo democratico ispirato dal Pkk: «Ha allestito centri di supporto, tende, magazzini per gli aiuti nelle città che gestisce più vicine ai luoghi del sisma, come Kobane e Manbij. Da lì sono partiti i convogli diretti nelle zone occupate ma sono fermi: la Turchia non li fa passare. Dovrebbero transitare dalle "porte di confine", che poi di fatto sono le linee del fronte. Già in tempi normali far transitare farina e medicine verso Shabha, l’area dove da anni vivono gli sfollati di Afrin, è difficile. Oggi è quasi impossibile».
Il corteo parte verso Piazza Venezia senza dimenticare la storica richiesta curda, libertà per Ocalan: «È il leader di un popolo, tenerlo incarcerato e in isolamento significa tenere in carcere e in isolamento tutti noi – dice Yilmaz Orkan, responsabile di Uiki – Chiediamo la liberazione sua e di tutti i prigionieri politici. In ognuna delle 10 province colpite dal sisma, ci sono carceri e non sappiamo cosa sia accaduto ai detenuti».

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