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La contraddittoria scommessa della giovane Elly Schlein

PAOLO FAVILLIITALIA

Il discorso - chiacchiera che, a parte rare eccezioni, è la cifra dominante dell’ipertrofico dibattito congressuale, è intessuto dalla continua evocazione del termine «nuovo». Senza alcuna concreta determinazione, peraltro, ma solo nella sua suggestiva aurea di pensiero desiderante. Certuni lo pronunciano ad alta voce come segno di ultima speranza per cambiamenti non cosmetici. Altri lo sussurrano sottovoce nella speranza che abbia a passare presto la nottata che li ha costretti a confrontarsi con la sospetta polisemia della parola. Qualche giorno fa su questo giornale si è potuto leggere che la «trasformazione di una zucca in un cocchio» (cito a memoria) appartiene al regno delle favole. Una nota di realismo.
Non è vero che il Pd è un partito senza identità. L’identità di un partito è la sua storia e quella del Pd non è di breve periodo. È la storia di una identità forte: neoliberista nella cultura politica, nella pratica politica. Niente è più forte oggi di una identità neoliberista. E’ una struttura di pensiero e azione istituzionale fondamentale nella logica dell’attuale fase di accumulazione; è una razionalità governante, si esprime tramite processi normativi di cui è stato protagonista il Pd, muovendosi sempre all’interno di tale razionalità governante.
Perfino il cammino della «autonomia differenziata» è stato reso più agevole da una normativa voluta dal centrosinistra quando non portava ancora il nome Pd, ma si muoveva secondo i lineamenti connessi a questa sua identità assunta già nei primi anni Novanta. D’altra parte, Bonaccini si è ben ritrovato in quel percorso, fino a che le necessità di posizionamento nella gara per la segreteria non l’hanno consigliato ad inserire una diversa posizione nel fiume del discorso-chiacchiera. Una posizione che, del resto, dell’«autonomia differenziata» continua ad accettare il principio, rifiutandone la stesura Calderoli.
«Normative neoliberiste? – direbbe Bonaccini – Tutta filosofia». L’«uomo del fare», infatti, le ha interiorizzate tramite naturalizzazione dei presupposti e di un insieme naturale non si fa critica. Inoltre, direbbe ancora Bonaccini, il termine «critica» sa troppo di «filosofia».
In un universo identitario di così compatta coerenza, condiviso da quasi tutti i dirigenti del partito che occupano posizioni di potere istituzionale, la candidata alla segreteria Elly Schlein può introdurre una soluzione di continuità?
Alcuni commentatori delle posizioni della Schlein nel dibattito in corso le hanno considerate come una versione che non intende mettere in discussione i fondamenti di quella continuità. Una versione giovanile, pop, suggestivamente scoppiettante, allusiva a nuovi orizzonti, senza per questo abbandonare i vecchi. Hanno messo l’accento sul suo ruolo di vicepresidente della Regione, un ruolo nel quale non è apparsa alcuna opposizione rispetto alla pratica politica tradizionale del Presidente. Hanno messo in evidenza il suo schierarsi con la Nato sulla questione Ucraina e il significato di tale scelta sull’analisi della logica del neoimperialismo nelle dinamiche spartitorie necessarie alla fase di accumulazione in corso.
Tutti aspetti che, certamente vanno considerati con attenzione. Nello stesso tempo però va considerata anche la dinamica in corso, una dinamica di scontro che, a seconda degli esiti, può approfondirsi fino a toccare aspetti non secondari della «questione identitaria». È certo una possibilità remota, ma non da escludere a priori.
In un recente libro (La nostra Parte, 2022) Schlein mostra con chiarezza le difficoltà a sciogliere il nodo della contraddizione. L’autrice resta estranea alla critica della meccanica fondamentale del processo di accumulazione del capitale, ma nello stesso tempo indica nella «svolta neoliberista», cioè nella forma attuale di tale meccanica, la «radice delle disuguaglianze» (p. 80).
Solo se la lotta contro le disuguaglianze diventasse davvero la stella polare di una forza politica che nasce come rottura della continuità neoliberista, la contraddizione si scioglierebbe. E per questo alla leader dei «coraggiosi» occorre tanto, tanto coraggio.
Molti tra coloro che nella fase attuale appoggiano la candidatura di Schlein, sono stati del tutto estranei alle vicende di autopromozione e autoperpetuazione dei gruppi dirigenti Pd, delle loro collocazioni correntizie, dei loro cacicchismi locali. Non credono che il Pd abbia fatto «errori» e che si tratti di correggerli. Il Pd ha semplicemente estrinsecato la propria identità. Il mutamento ha bisogno di ben altro, a partire proprio dalla profondità della «critica» e della sua traduzione in politica. Elly Schlein un tempo, come ricordo bene, eccelleva in quell’operazione culturale che consiste nell’utilizzazione di strumenti concettuali forti («filosofia»?) per comprendere la vicenda storica, quindi, anche il presente come storia. Chissà che la forza delle cose e i suoi nuovi seguaci non la spingano a riprendere l’unico metodo che possa dare senso reale al termine «nuovo».

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