INTERNAZIONALE

I Talebani di lotta e quelli di governo

A Peshawar 100 morti, tutti agenti
GIULIANO BATTISTONpakistan/Peshawar

È salito a 100 il numero delle vittime dell’attentato che due giorni fa ha colpito una moschea di Peshawar, la città capoluogo della provincia nord-occidentale del Khyber Pakhtunkhw. Tutte le vittime, tranne tre, sono poliziotti.
Pur provvisorio, il bilancio marca uno degli attentati più sanguinosi nel Paese e rimanda a una partita in cui triangolano tre attori principali. Il primo è il Tehreek-i-Taliban Pakistan (Ttp), i Talebani pachistani che due giorni fa, tramite alcuni comandanti di una fazione affiliata (Jamaat-ul-Ahrar), hanno rivendicato l’attentato, prima che arrivasse la smentita del portavoce ufficiale. Il secondo è il governo di Islamabad, che incassa le conseguenze nefaste di una spregiudicata politica di sostegno alle forze irregolari iniziata subito dopo l’indipendenza, nel 1947, «allorché il Pakistan invia migliaia di uomini armati delle tribù pashtun a combattere le forze indiane nel Kashmir, innescando il primo conflitto indo-pachistano», scrive Ahmed Rashid in Pericolo Pakistan. Il terzo sono i cugini afghani del Ttp, i Talebani afghani che nell’estate del 2021 hanno restaurato l’Emirato islamico anche grazie al sostegno dell’establishment militare del Pakistan. Un pezzo opaco e influente della politica del Paese dei puri che si aspettava riconoscenza e che ha finito invece per accusare i Talebani afghani di dare sostegno al Ttp, che godrebbe di santuari sicuri in particolare nella Loya Paktia, l’area che include le province afghane di Paktia, Paktika e Khost, a ridosso del confine con il Pakistan, la linea Durand riconosciuta da Islamabad, non da Kabul. Ieri Il ministro della difesa di Islamabad, Khawaja Asif, ha minacciato: “Tutti sanno che i Talebani pachistani usano il suolo afghano per operazioni di terrorismo in Pakistan. Vorremmo evitare un’operazione militare, ma se saremo costretti a usare la forza, lo faremo”.
Già isolati, i Talebani afghani sono nei guai. Nei mesi successivi al loro ritorno al potere si sono spesi per passare come interlocutori delle potenze regionali. L’area riconducibile a Sirajuddin Haqqani, numero uno dell’omonima rete terroristica dominus delle aree di confine tra Afghanistan e Pakistan, poi ministro dell’interno dell’Emirato, ha cercato in particolare di accreditarsi come mediatore tra Islamabad e i Talebani pachistani. La tregua durata mesi veniva presentata come un segno dell’affidabilità di Sirajuddin, l’uomo passato dalle stragi al ministero fino al ruolo di diplomatico-pacificatore. Ma la tregua tra il Tehreek-i-Taliban Pakistan e il governo di Islamabad è saltata nel novembre 2022.
Da allora il Ttp ha alzato il tiro. Fino all’attentato alla moschea di Peshawar, non rivendicato, non formalmente. Tre le ragioni principali: per evitare il biasimo popolare; per non alimentare i dissidi interni al Ttp, un movimento-ombrello nato nell’inverno 2007 proprio per tenere insieme i gruppi paramilitari attivi nel Khyber Pakhtunkhwa (all’epoca Nwfp, North-West Frontier Province); per evitare guai ulteriori ai cugini afghani, del cui sostegno il Ttp ha bisogno. E i quali scontano una contraddizione inevitabile: erano guerriglieri, hanno adottato gli strumenti del terrorismo, hanno colpito moschee e luoghi civili (pur negando quest’eventualità nei loro codici di condotta, come nega oggi il Ttp), ma ora sono ministri, anche se non riconosciuti dalla comunità internazionale. Dopo molte ore di silenzio, ieri è arrivata la condanna dell’attentato di Peshawar da parte del ministro degli esteri dell’Emirato, Amir Khan Muttaqi.
Ma non basta: i Talebani al potere a Kabul sono davvero disposti a scaricare i cugini pachistani che riconoscono, sin dal 2007, l’autorità del loro Amir al-muminin, la guida dei fedeli? Difficile che avvenga, anche se Islamabad minacciasse la violazione della sovranità territoriale. D’altronde, anche il governo pachistano è nei guai. Il Paese vanta una delle maggiori concentrazioni al mondo di jihadisti e la popolazione è sempre più consapevole che molto dipende dalla politica di far ricorso a forze irregolari, iniziata nel 1947. Da allora, è continuo il sostegno a movimenti armati in funzione anti-indiana come Lashkar-e-Taiba, nato nel 1982, o come Jaish-e-Mohammed, il gruppo responsabile dell’attacco terroristico del febbraio 2019 contro le forze paramilitari di Pulwama, nel Kashmir indiano, che ha riacceso il confronto militare tra Pakistan e India.
Il pieno controllo sui gruppi islamisti viene meno già alla fine degli anni Novanta del ’900, quando alcuni guerriglieri cominciano a guardare alle istituzioni di Islamabad non più come protettrici, ma come obiettivi legittimi. Dieci anni dopo, a fine 2007, nel Waziristan del nord viene formato appunto il Tehrik-e-Taliban Pakistan, il movimento dei Talebani pachistani. I quali oggi attaccano militarmente il governo di Islamabad, che a sua volta accusa i Talebani afghani, considerati a lungo partner strategici e arrivati al potere nel 2021, di sostenere il Ttp. Verso cui - assicura oggi il generale Asim Munir, a capo dell’esercito di Islamabad - “ci sarà zero tolleranza”.

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