VISIONI

Cabaret, paillettes e lustrini negli anni di Weimar

REGIA DI ROBERT CARSEN
ANDREA PENNAFRANCIA/PARIGI

«You are pathetic». Trucco estremo alla Divine, testa calva e anfibi calzati sotto il caftano di paillettes, Sam Buttery accoglie con studiata insolenza il pubblico. Quando però parte Wilkommen e entrano le ballerine e ballerini del Kit Kat club svaniscono le incertezze e esplode l'applauso. Singolare rinascita quella del Lido di Parigi, che riapre i battenti - il nome Lido2 però manca di allure - con la storia di un locale notturno che chiude. Cabaret, musical record di incassi e amatissimo, firmato da John Kander e Fred Ebb nel 1966 segue infatti la folgorante parabola del cabaret berlinese Kit Kat e la sua chiusura all'avvento del Nazismo. Robert Carsen, che a Parigi ha creato tante regie d'opera e ha allestito mostre, ha costituto uno spettacolo perfetto per la piattaforma circolare della sala,, che nonostante i mille posti, con i suoi tavolini e i mosaici echeggia le atmosfere di un club déco.
APERTO nel 1946 sugli Champs Elysées dai fratelli Clerico, italiani dell'Alto Canavese, il Lido ha visto esibirsi da Edith Piaf a Marlene Dietrich, Elton John; i suoi show acrobatici e lussuosi, le cene, lo champagne e le statuarie Bluebell Girls, hanno contribuito a definire il prototipo del teatro di varietà del dopoguerra. Dopo l'ultima produzione del 2015 il club, più castigato e borghese del Moulin Rouge e del Crazy Horse, non ha retto all'urto della pandemia e ha chiuso definitivamente la scorsa estate. A fine novembre la nuova l'avventura del musical. Tra fulminei cambi scena a vista la storia d'amore della 'flapper' Sally Bowels - la volitiva e capricciosa Lizzy Connolly - e dello scrittore bisessuale americano Cliff Bradshaw - l'elegante Oliver Dench - si intreccia ai song più famosi, da Two ladies a Money - alcuni modificati o espunti nel film con Liza Minnelli - e soprattutto ai formidabili numeri di danza che rievocano la vita berlinese dentro e fuori dal Kit Kat.
LE COREOGRAFIE riescono a riaccendere l'urgenza spasmodica e la carica sessuale anarchica e disperatamente liberatoria degli anni di Weimar, tratto ormai cannibalizzato dall'estetica pubblicitaria della società dei costumi. Un mattone infrange la vetrata del negozietto dell'ebreo Schultz: è l'inizio della fine, che tronca anche il tardivo fidanzamento del timido negoziante - Gary Milner -con la ruvida Fräulein Schneider, che grazie all'interpretazione di Sally Ann Triplett regala momenti di malinconia agrodolce in So what ? la sua ricetta per affrontare le avversità, almeno finché le camere della pensione si affitteranno.
Carsen e il coreografo Fabian Aloise non nascondono le ombre cupe che incombono: in Tomorrow belongs to me i giovani del club passano dai giochi sadomaso in boxer e reggicalze a una disturbante trasformazione danzante in camicie brune, che ricorda lo straniamento del film Jojo Rabbit. Struggenti l'addio fra Sally e Cliff e il congedo dell'Emcee, I don't care much, intonato nel cabaret ormai deserto. Chi può fugge mentre sul sipario alle immagini di Hitler e delle adunate naziste si sovrappongono altre di Stalin, Castro, Mussolini fino a Putin, un richiamo ecumenico e neutrale contro ogni dittatura che avrebbe lasciato interdetti gli affezionati del Kit Kat e sciupa un po’ il finale di un lavoro altrimenti perfetto. In scena fino al 3 febbraio.

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