INTERNAZIONALE

In Congo una «guerra di saccheggio» lunga trent’anni. Ora basta ipocrisie

ALLA VIGILIA DEL VIAGGIO DEL PAPA SI MOBILITA LA SOCIETÀ CIVILE. UNA CONFERENZA E UNA LETTERA A BERGOGLIO
FILIPPO ZINGONEvaticano/repubblica democrarica congo

Martedì prossimo Bergoglio incomincerà il suo viaggio nella Repubblica democratica del Congo e nel Sud Sudan. È la quarta volta che il Papa si reca nel continente africano, ma la prima in cui visita due dei paesi più provati da violenze senza fine. Guerre, di cui poco o nulla filtra sui media internazionali, che con l'arrivo del pontefice avranno qualche possibilità in più di essere raccontate.
IN OCCASIONE dell'imminente viaggio apostolico, mercoledì scorso nella sede romana della Federazione nazionale della stampa italiana si è tenuta una conferenza intitolata «A quando la pace in Congo?», promossa da 107 enti, associazioni, comitati e gruppi della società civile italiana e congolese che chiedono di fare luce su una guerra ormai trentennale e sui crimini ai danni della popolazione civile nelle regioni orientali della Rdc.
In più interventi i relatori, Pierre Kabeza, Micheline Mwendike, John Mpaliza, Giovanni Piumatti e don Tonio Dell'Olio, hanno posto l'accento sulla necessità di raccontare questa guerra per quello che è veramente: una guerra di saccheggio che viene perpetuata da attori esterni e interni lasciati liberi e non puniti per i crimini contro l'umanità da loro commessi.
PIERRE KABEZA, rifugiato congolese e attivista per i diritti umani ha parlato del «Rapporto mapping», un documento pubblicato nel 2010 dalle Nazioni unite che aveva come obbiettivo quello di far luce sulle violenze commesse dal 1993 al 2003 nel Congo orientale. Nel documento si fa menzione, non solo dell'erronea lettura che i media internazionali hanno sempre dato della guerra in Congo come di una guerra etnica, ma anche dell'impunità di cui hanno goduto i carnefici che anzi hanno ricoperto, e ricoprono tuttora, posizioni apicali per le quali sono diventati intoccabili. Una guerra, quella del Congo, che, con una metafora proposta da Kabeza, può essere paragonata a un albero: «Le radici sono gli attori che non si vedono, le grandi potenze occidentali, c'è poi il tronco che sono i paesi vicini del Congo, che fungono da intermediari per gli occidentali e infine le foglie, che sono i gruppi armati. Ma la linfa di questo albero sono gli interessi economici».
MICHELINE MWENDIKE, attivista congolese e fondatrice dell'associazione «Lucha» che è impegnata per il disarmo e la smilitarizzazione della Rdc, ha evidenziato però che almeno «le sofferenze invece di dividerci ci hanno unito: prima c'erano le tribù, adesso c'è solo un popolo congolese che sa che la violenza fa male a tutti».
Il «Rapporto mapping» è però finito nel cassetto e lì dimenticato. Questo perché la responsabilità delle stesse potenze occidentali è scritta nero su bianco in questi documenti. Che «si metta fine all'ipocrisia della comunità internazionale» è una delle richieste di John Mpaliza, che ha anche parlato della legge europea sulla tracciabilità dei minerali, il regolamento Eu 2017/821. Una legge con diverse falle la prima delle quali e l'assenza del cobalto, oggi più di ieri fondamentale per la transizione energetica, nella lista dei minerali che devono essere tracciabili.
LE RICHIESTE delle organizzazioni promotrici, espresse anche in una lettera firmata da queste 107 associazioni e indirizzata a Bergoglio, includono l'istituzione di un Tribunale penale internazionale per la Rdc che dia giustizia ai milioni di morti civili e la smilitarizzazione imemdiata delle regioni orientali della Repubblica democratica del Congo.
La speranza di tutti è che il viaggio apostolico e l’attenzione mediatica che ne deriverà servano a gettare una luce non solo sul conflitto ma anche sulle sue possibili soluzioni. Per non continuare a contare i morti e dare giustizia e una vita migliore alle donne, ai bambini e agli uomini che vivono un «inferno in terra» in un paese che per le sue risorse dovrebbe essere un paradiso.

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