CULTURA

«La sfida delle disuguaglianze» e l’esodo dalla sinistra

IL LIBRO DI CARLO TRIGILIA OGGI (ORE 17) PRESSO L’ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA
ANTONIO FLORIDIAITALIA

Tempi bui e burrascosi, a sinistra; e spesso idee confuse. E c’è bisogno invece di conoscenze e analisi, per poter uscire, specie in Italia, da una condizione preoccupante. Non manca certo una produzione intellettuale che offre un pensiero critico sul presente, da cui la politica della sinistra potrebbe trarre qualche buon insegnamento; ma i due piani rimangono disconnessi, anche perché mancano i luoghi (un partito) in cui possano incontrarsi proficuamente. Il libro di Carlo Trigilia (La sfida delle disuguaglianze. Contro il declino della sinistra, Il Mulino, pp.216, euro 19) si propone di indicare le implicazioni politiche di un ampio lavoro di ricerca condotto negli anni precedenti, di cui avevamo parlato anche su queste pagine (15 gennaio 2021), su Capitalismi e democrazie (a cura di C. Trigilia, il Mulino 2020).
Le discussioni sui modelli di democrazia, in genere, sono il terreno privilegiato di giuristi, scienziati o filosofi della politica: l’approccio che caratterizza il lavoro di Trigilia nasce invece da un campo specifico delle scienze sociali, la political economy, che si rivolge in particolare allo studio comparato dei diversi modelli di regolazione sociale, politica e istituzionale dell’economia.
A COSA ATTRIBUIRE la crescita dei livelli di disuguaglianza nelle cosiddette «democrazie avanzate»? Di solito, vengono evocate la globalizzazione e i cambiamenti economici legati alla rivoluzione tecnologica. Questi grandi scenari certo contano, ma esiste una correlazione tra i diversi modelli di democrazia e la riduzione (o l’accentuazione) delle disuguaglianze? Perché, in alcuni contesti, le politiche agiscono in termini (relativamente) redistributivi, e in altri no?
LA RISPOSTA a questi interrogativi viene cercata attraverso la costruzione di modelli idealtipici che, in quanto tali, non sono mai descrizioni empiriche dei «fatti», ma che permettono in chiave comparata, di orientarsi nella decifrazione dei diversi contesti. Ciò che alla fine emerge è una griglia delle possibili combinazioni tra livelli e qualità della crescita e i caratteri più o meno «inclusivi» e egualitari dello sviluppo. Tra gli elementi delineati dall’indagine affiora, come variabile cruciale, la distinzione tra «democrazie negoziali» e democrazie «maggioritarie»: i paesi in cui prevale un modello, più o meno «puro», di «democrazia negoziale» sono anche quelli che hanno visto comunque, anche negli ultimi decenni livelli minori di disuguaglianza. «Negoziali» sono le democrazie che riescono a contrastare quella logica della disintermediazione, che è tratto essenziale dell’era «post-democratica», e a consentire una dialettica, insieme conflittuale e cooperativa, che possa far pesare anche i gruppi sociali più deboli.
TRA LE CARATTERISTICHE istituzionali che contribuiscono a produrre maggiori effetti redistributivi (insieme ad altri fattori, tra cui un sistema di relazioni industriali fondato sulla concertazione e la contrattazione collettiva), vi è anche un sistema elettorale di tipo proporzionale, come elemento che favorisce una più articolata rappresentanza politica degli interessi, anche quelli più «marginali»; che spinge i partiti della sinistra a consolidare innanzi tutto la capacità di rappresentanza del proprio «mondo» sociale; che riduce la logica «centripeta» tipica delle competizioni maggioritarie, tesa a privilegiare la conquista degli elettori cosiddetti «mediani», producendo indistinzione tra i programmi politici.
TRIGILIA RICHIAMA l’attenzione su un rischio, quando si parla del «declino» della sinistra: una visione deterministica, che ne attribuisca le cause ai soli fattori «oggettivi» (come il ridotto peso della classe operaia, la frammentazione sociale, ecc.). Al contrario, appaiono cruciali anche le scelte compiute dagli attori, la loro cultura politica. A partire dalla metà degli anni Novanta, l’egemonia culturale del neoliberismo ha portato molti partiti della sinistra ad introiettarne i paradigmi; e la risposta è stata spesso quella di un cambiamento dell’offerta programmatica che compensasse «al centro» il ridimensionamento della tradizionale base popolare. I dati del «grande esodo» dai partiti della sinistra mostrano come questa strategia si sia rivelata fallimentare: la sinistra non ha saputo «tenere» la precedente coalizione sociale, né ha saputo ampliarla verso nuove direzioni. Non dappertutto, beninteso, è andata così: pur tra tante difficoltà, le socialdemocrazie centro e nord-europee hanno saputo comunque difendere le basi sociali del loro consenso elettorale. Il caso italiano, come sappiamo, si colloca all’estremo opposto.
I MUTAMENTI ECONOMICI e sociali hanno certo creato le premesse di un indebolimento della sinistra, ma non le hanno propriamente «determinate»: a produrre tale esito sono state quelle scelte strategiche che, a loro volta, sono state il frutto di una cultura politica che ha smarrito la sua autonomia critica. E da qui bisogna ripartire per invertire la rotta.

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