VISIONI

La mistificazione del corpo del capo

Habemus Corpus
MARIANGELA MIANITIitalia/torino

Tra la celebrazione dei vent’anni dalla morte di Gianni Agnelli, il format Boss in incognito (in onda su Rai2), e il messaggio di Silvio Berlusconi che ringrazia per i cinque milioni di Mi piace su Tiktok, si respira aria di santificazione del capo. Quando morì Leopoldo Pirelli, il 23 gennaio 2007, quattro anni esatti dopo Agnelli, il giorno successivo ero seduta in un bar con davanti le prime pagine dei giornali che si sperticavano in lodi ed encomi. Una signora anziana e dall’aria fierissima entrò, guardò i quotidiani e disse: «Agnelli e Pirelli, ladri gemelli». Erano trascorsi 38 anni da quel settembre 1969 in cui quasi due milioni di lavoratori erano scesi in corteo gridando, fra gli altri, quello slogan per chiedere un contratto di lavoro. Qualcuno ha scritto che quell’equiparazione fu ingenerosa nei confronti di Pirelli che era molto meno ladro di Agnelli. In ogni caso, quella frase divenne un simbolico così potente che è rimasta nella memoria, soprattutto di chi ha partecipato all’autunno caldo e, come quella signora, sa ben distinguere fra «la rivoluzione che non è un pranzo di gala» e la piaggeria dei servitori.

Da allora il mondo del lavoro è così cambiato che, se si volesse personalizzare uno slogan contro un padrone in carne e ossa, si farebbe fatica a trovarne proprio il corpo, persi come si è in entità finanziarie e spezzatini di sedi all’estero, a meno di prendersela con un algoritmo, ma l’immateriale è come un fantasma, inconsistente, sfuggente e, quindi, è perfetto muro di gomma.
In questo deserto del corpo e del suo simbolico, hanno gioco facile a emergere i totem rimasti ancora in vita, come appunto Berlusconi che, sebbene assai ridimensionato nei voti e invecchiato fisicamente, ogni tanto tira fuori dal cilindro, in questo caso di Tiktok, i suoi conigli fatti di ammiccamenti, mossette, gag, promesse. Il suo essere a capo di un partito azienda, in quanto di sua proprietà, lo trasforma agli occhi dei seguaci come il messia che realizzerà i sogni, o i comodi, dei suoi votanti. Per questo lo zoccolo duro dei suoi ammiratori gli sarà fedele fino alla fine, non foss’altro perché una faccia, benché divenuta maschera, è tangibile, esiste davvero.
Anche il format di Boss in incognito ha bisogno, per essere realizzato, del corpo vero di un padrone che deve essere camuffato, truccato, reso irriconoscibile. Fino a che punto, poi, i suoi dipendenti non lo individuino è un dubbio che resta allo spettatore fino alla fine delle puntate, perché in pochi crediamo che ai lavoratori non vengano sospetti mentre sono ripresi a insegnare il mestiere a quel neofita un po’ imbranato e, per di più, così fraternamente interessato ai loro destini.

Per quanto riguarda Gianni Agnelli, anche se dei morti bisogna avere misericordia, fa davvero impressione la valanga di celebrazioni che continuano a magnificare il suo stile, il suo dongiovannismo, la sua eleganza, il suo essere uomo di mondo, dimenticandosi delle sue politiche aziendali del cui lavoro sporco incaricava i fedelissimi. Non c’è niente da fare, una parte del Paese è ancora affascinata dal corpo del capo, feticcio che cambia sembianze, età, sesso, modi, linguaggio, ma non la sostanza.
E mentre una parte di popolo si fa strumento per produrre, vendere e poi acquistare beni di consumo sempre meno accessibili a loro stessi, il corpo del capo diventa sempre meno visibile, un’entità tentacolare persa nella rete dell’immateriale. Finché arriverà il giorno della resa dei conti, perché la frustrazione protratta può dare due risultati, o tutto scoppia o tutto impazzisce. Insomma, non sarà un pranzo di gala.

mariangela.mianiti@gmail.com

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